Teología y género en la crítica al monacato forzado de Arcangela Tarabotti
Palabras clave:
Tarabotti, Venecia, teología, protofeminismo, conventoResumen
En este artículo me propongo analizar la particular lectura del Génesis realizada por Arcangela Tarabotti (1604-1652) en su obra más célebre, Tirannia paterna. En esta lectura, su reinterpretación de la creación de la mujer y de la figura de Eva ocupan un lugar central y servirán como argumento en su defensa del sexo femenino in toto y, particularmente, en su condena del monacato forzado —práctica muy en boga en la Venecia del siglo XVII e, incluso, padecida por la misma autora—. En la interpretación tarabottiana la mujer aparece como más noble, refinada, fuerte y digna que el varón no solo por el modo en que fue creada, sino también por ser la causa de que el ser humano en general alcance la perfección. A su vez, en la visión de la monja veneciana la figura de Eva es valorada por representar la sed de conocimiento de todas las mujeres.
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Al respecto, comenta Santos Uriarte: «Quedó eternamente atrapada bajo los muros de un convento que le robó lo que ella más apreciaba: la libertad y la salvación» (2023: 51).
En su obra La semplicità ingannata, cuyo título original era Tirannia paterna, Tarabotti afirma que en las puertas de los conventos podría inscribirse aquello que Dante leyó antes de entrar al Infierno: «lasciate ogni speranza, voi ch´entrate» (Inf. 3.9). (Cfr. Tarabotti, 1654: 60)
En nuestro trabajo, decidimos utilizar este segundo título, que por otra parte es el que la autora pensó en un principio, debido a que según nuestro juicio se adecua más a la intención y la vehemencia con la cual la autora denuncia las injusticias de su tiempo.
En el marco de este artículo, entendemos por patriarcado tanto a la subordinación de lo femenino a lo masculino como también la estructura social, económica, política y cultural que sostiene este orden jerárquico entre lo masculino y lo femenino. Sobre este concepto véase el clásico estudio de Lerner (1986).
Hay traducción al castellano tanto de la obra de Francesco Buoninsegni de Siena como de la respuesta de Arcangela Tarabotti. Véase Tarabotti, 2013a.
Obra tarabottiana también traducida a nuestro idioma. Véase Tarabotti, 2013b.
Sobre el análisis de las demás obras de Tarabotti teniendo en cuenta la división expuesta en los párrafos anteriores, véase Mantioni (2014: 115 y ss.).
Tarabotti (1654: 44, 46-47): «Mà torniamo all´incominciato distorso. Com´è possible, ò ingannatori, che chiudate in seno un cuore cosi crudele, che soffra di tormentar il corpo delle vostre figliuole, che pur son vostre viscere, con perdita sorse della lor anima, la cui natura è tanto nobile, che per salvarne una sola se bisognasse, Christo di nuovo discenderebbe dal cielo in terra, e tornerebbe à partir morte di croce [...]
Parmi, quando veggio una di queste fuenturate fanciulle, cosi tradite da proprii genitori, di veder quello, ch'aviene all'augelletto , il quale nella sua pura simplicità là trà le frondi de gl´alberi , ò lungo le rive de' fiumi, và con dolce sussurro , e con gentil' armonia allettando l'orecchio , e consolando il cuore di chi l'ascolta, quand' ecco viene da rete insidiosa allacciato, e privo della cara libertà. [...] e cosi sepelirle vive ne´chiostri, per tutta la lor vita, legate d´indissolubili nodi [...]». Todas las traducciones de Tirannia paterna son de nuestra autoría.
En su crítica a estas prácticas, las mujeres con verdadera vocación para el monacato son excluidas e incluso elogiadas por la propia Arcangela: «Porto una santa invidia allo stato di quelle consacrate à Dio, che chiamate dalle divine inspirationi seguono la vocatione con tanti buoni essempii, & opere sante, [...] queste meritano di goder in cielo la virginal corona». [Tengo una santa envidia al estado de aquellas consagradas a Dios, llamadas por inspiración divina a seguir la vocación con tantos buenos ejemplos y santas obras, […] estas merecen gozar la virginal corona en el Cielo]. (Tarabotti, 1654: 58).
Quince de ellos agustinos, diez benedictinos, ocho franciscanos, dos dominicanos, uno carmelita y uno servita. Cfr. King, 1991: 83.
«Non poteva la malitia de gli huomini inventar la più enorme sceleratezza, che quella d´opponersi immediatamente alle determinationi di Dio, che dourebbero effer´irrefragabili, e pur eglino con attioni interessate non cessano giornalmente di violarle. Frà tali eccessi di colpe, tiene il primo luogo l´ardire di coloro, che non preguidicio del libero arbitrio de S.D.M. concesso, tanto a´i maschi, quanto alle femine, con pretesti in apparenza santi; mà in realtà maluagi, chiudono con inganno forzatamente frà quattro mura d´un Monastero le semplici donne, facendole in perpetuo habitatrici d´una prigione [...].»
«La stanza di queste infelici (parlo sempre delle involontarie monache) non si può paragonare (cosa in vero horribile da sentirsi; ma vera) che ad un´inferno. L´inferno solo hà similitudine con l´infelicità di queste sfortate serve di Christo».
Cfr. Tarabotti, 1654, 44-45: «Ustedes merecen los eternos tormentos más que Nerón y Diocleciano, los mayores tiranos del mundo. Porque ellos, masacrando y atormentando cruelmente los cuerpos de los santos mártires, no afectaron a tal punto sus almas» [Più de´ maggiori Tiranni del mondo, più dico de´ Neroni, e Diocletiani, voi meritate gli eterni cruccii, poich´essi, truccidando, e tormentando, crudelmente i corpi de´ santi martiri, non pregiudicavano loro punto nell´anima].
«Nelle perfettioni di questa gran fabrica, ò in questi cosi alti misterii, non trovo, che simbolicamente, ò realmente apparisca pur un´ombra sola, che da qual si voglia inteletto perspicace potesse esser´accennata per segno, che Dio havesse desiderio, che in questo mondo ci fossero monache sforzate, le quali sono effetti non d´altri, che della sola humana, anzi più tosto dishumana inventione».
«Insomma questa è un´empia, ingannevole, e malitiosa inventione de gli huomini, che non senza onta di Dio, il quale volle, che Adamo imponesse il nome à tutte le cose, assignarono il titolo di monache à queste infelici [...]».
Cfr. Tarabotti, 1654, 3: «Pero estos no sólo no lamentan este inconveniente [el encierro de sus hijas]; por el contrario, los más católicos y espirituales, o mejor dicho los más hipócritas, tienen como máxima ofrecer a Dios con injusto sacrificio aquellas criaturas para no degradar sus intereses». (Mà questi non solo non piangono tal´ inconveniente, anzi i più Catolici, ò spirituali, ò più tosto i più Ippocriti, per non degradar i loro interessi, hanno per massima d´offrire à Dio con ingiusto sacrificio quelle creature). Subrayado nuestro.
«Se nel sacramento del matrimonio, contratto nel Paradiso in istato d´innocenza, effequito e confirmato nelle persone di tanti Patriarchi, e Profeti, corroborato dall´assistenza di Christo & autenticato dall´essempio della medesima beatiβima Vergine, benche fuori della legge ordinaria, e senza offesa del suo candor virginale, con giuste cause si concede il divortio, e tutto che sia nodo cosi santo, e cosi stretto, può nondimeno in qualche maniera scioglersi, ò almeno per la morte d´una delle parti finire; perche denno esser condennate le monache con inappellabile decreto nel sacramento della loro proffessione, ad osservationi eternamente irrefragabili?».
«Anch´io però confesso, che l'esser idiota è qualità nostra propria, nella quale allevate viviamo, mercè le determinationi di voi altri huomini, che ne volete ignoranti in supremo grado Ma benissimo operate, secondo la vostra politica, in tenerci lontane dall' operationi scientifiche dell' intelletto, come quelli, che conoscendo, ch'agiunte le scienze alla naturale e spiritosa dispositione delle donne, arriverebbero ad usurparui gli honori, e guadagni, che con mezi illeciti acquistate, esercitando le professioni di jurisconsulto, ed'Avocato: funtioni, che se fossero praticate dalle femine con più giustitia, certo sariano decise le cause, & i clienti non rimarebbero spogliati da noi con tanta avaritia come sono da voi».
Sobre la medicina en la temprana Modernidad europea remitimos a Lindemann (1999).
«Iddio non dispensò à tutte una volontà, un desiderio, un fomite, perche se bene è invariabile in se stesso, & immutabile, si diletta nondimeno della varietà delle cose.
Diversi sono gl'humori peccanti, e se la machina di questo mondo fatta con tanta architetura, e magistero dall' artifice eterno, non fosse piena di quasi infinite diversità; mà che tutte le cose fossero fra di loro simili, non riuscirebbe di tanta vaghezza à chi la mira, poiche, come dice il Poëta. Solo per variar natura è bella. Se tutte le humane creature, che sono d'una medesima sostanza, col prefisso numero di membra equali, fossero in tutto, e per tutto nella sembianza, grandezza, colori, proportioni, e bellezze simili, sarebbe rouinato il fondamento della maraviglia generata dall' opere divine, e raggionevolmente potrebbessi tralasciar di dire. Quam mirabilia sunt opera tua Domine? ». El Poeta citado podría tratarse de Serafino dell´Aquila (Aquilano), poeta petrarquista de finales del siglo XV.
«Solo la varietà, e dissimilitudine, tanto ne gl'huomini, quanto nelle inclinationi loro, nelle fiere, uccelli, pesci, piante, fiori, e frutti genera stupore all' humana intelligenza, e palesa à gl' occhi nostri la divina omnipotenza: perche dunque vuoi tu contrafar' all' opere del giustissimo, con voler, che molte donne vivano tutte conformi nell' habito, nell' habitatione, nella mensa, & in ogni operatione; mentre il Sign. de' Sign. mostra un miracolo della sua infinita sapienza nell' haver create tutte le cose frà di loro dissimili? Perchè vuoi agiustare à tuo talento quei voleri, che la natura hà creati discordi? Questo è un voler' alterar, e correger le operationi di chi non può errare. »
«Fate guerra all'innocenti con le vostre tristitie, à pregiudicio delle vostre mal nate carni, che finalmente poi il tutto rissulterà per l' inique anime vostre in incendii, e tormenti eterni».
«Abuso grandissimo, errore inescusabile, rissolutione iniqua, temerità evidente, quando si vede chiaro, che quell´alta Providenza hà conceduto alla creatura, sia ò dell´uno, ò dell´altro Sesso, il libero arbitrio, e dottò non meno la donna, che l´huomo, d´intelleto, memoria, e volontà, acciò con queste trè potenze fuggisse il mal evitabile, e seguisse il ben´elegibile, non timor servile [...]».
Debemos señalar que el término original hebreo para «ayuda», עֵזֶר ʿēzer, aparece en otros lados en el texto bíblico, pero respecto del auxilio de Dios hacia el pueblo de Israel. Véase por ejemplo en Sal 115: 9 («Oh Israel, confía en Jehová; Él es tu ayuda y tu escudo») y en Os 13: 9 («Te perdiste, oh Israel, más en mi está tu ayuda»), entre muchos otros lugares. En ambas citas, en la Vulgata se traduce el עֵזֶר ʿēzer por auxilium. Esto nos permite inferir que el análisis de Tarabotti se encuentra en lo correcto en la medida que brindar auxilium no implica necesariamente una condición ontológica menor respecto a quien lo recibe.
Cfr. Tarabotti, 1654: 8: «Sin la mujer, él [el varón] habría sido el epígono de todas las imperfecciones; pensando [Dios] dijo: no es bueno que el hombre esté sólo; hagámosle una ayuda semejante a él. Y así quiso fabricarle aquella compañera, que debía enriquecerlo de méritos y ser la gloria universal de toda la humanidad.» (Senza la donna egli farebbe stato l'epilogo di tutte l'imperfettioni, pensando disse Non esse bonum hominem esse solum; faciamus ei adiutorium simile sibi. E cosi volle fabricargli quella compagna, che dovea arricchirlo di meriti & essere la gloria universale di tutta l´humanità).
«[...] Se t´è data come aiuto, non t´hà da servire per schiava, come ingiustamente vai sofisticando à tuo prò, & adducendo raggioni contrarie alla sacra Scrittura, & alle parole di chi non può mentire. Crescite, et multiplicamini, et replete terram, et dominamini piscibus maris, et volatilibus caeli, et universis animantibus, quae moventur super terram, disse il Creator del tutto, tanto all´huomo, quanta alla donna.
[...] Non disse ad Adamo, signoreggerai la donna».
Cfr. Tarabotti, 1654: 10: «Havendo l´omnipotente risservata nel fine di cosi bell´opra la creatione della donna, volle privilegiarla, autenticar le di lei gratie e rallegrar´ il mondo tutto col di lei splendore».
Cabe señalar que este mismo argumento aparece en tratado De nobilitate et praeccellentia foemini sexus de Cornelius Agrippa, publicado en 1529: «Toda la sabiduría del creador y todo su poder fueron concluidos y consumados en la mujer, más allá de la cual no puede imaginarse ninguna otra criatura. […] Así, mientras se creaba el mundo, la mujer fue la última creación, pero la primera en autoridad y dignidad, conforme a la concepción de la mente divina» (2011: 79). Tenemos noticias de que Arcangela accedió a una traducción italiana de la obra de Agrippa (Cfr. Panizza, 2004: 16).
Tarabotti, 1654: 10: «Formò l´huomo, ch´è cosi superbo nel Campo Damasceno, d´una delle cui formò la donna nel Paradiso Terrestre». Un argumento similar ya se encontraba en La cité des dames (1405) de Christine de Pizan: «¡Cómo Naturaleza, discípula del Divino Maestro, iba a tener más poder que quien le confiere su autoridad! Dios tuvo en su pensamiento eterno la idea del hombre y de la mujer. Cuando quiso sacar a Adán del limo de la tierra en el campo de Damasco, así lo hizo y llevóle hasta el Paraíso Terrenal, que era y sigue siendo el sitio más hermoso de este mundo. Allí lo dejó dormido y formó el cuerpo de la mujer con una de sus costillas para significar que ella debía permanecer a su lado como su compañera, no estar a sus pies como una esclava, y que él habría de quererla como a su propia carne» (2013: 43).
Nuevamente, una posible fuente de este argumento se encontraría en Cornelius Agrippa: «Supera la mujer al varón por la materia de creación, porque no fue creada a partir de algún objeto inanimado o del vil lodo, como el hombre, sino a partir de una materia purificada, vivificante y animada, es decir, del alma racional que participa de la inteligencia divina. El varón fue hecho por Dios a partir de la tierra, que por su propia naturaleza produce los seres animados de cualquier género con la ayuda del influjo celeste. Por el contrario, la mujer fue creada por Dios solo, por encima de toda acción del cielo y de la naturaleza, sin que cooperara ninguna fuerza, concorde consigo misma en todo, íntegra y perfecta» (2011: 83).
«Da ciò, se non fossi femina, dedurrei argomento, che, e per la qualita della materia, di cui fù formata, e per riguardo del sito in cui fù creata, la donna sia più nobile, delicata, forte, e meritevole, che non è l´huomo».
Tarabotti no es la primera autora italiana en tratar la figura de Eva y las implicaciones de su pecado. La veronesa Isotta Nogarola había dedicado todo un diálogo al tema en 1451, defendiendo, al igual que nuestra escritora, que el pecado de Adán es más grave que el de la primera mujer (Cfr. Nogarola, 2013).
«Il supremo motore, che, giustissimo e perfetto in ogni sua operatione, non può errare; dopo il fallo del violato pomo, non chiamò prima la donna per riprenderla ò castigarla, come principalmente rea, e prima cagione del peccato; ma disse: Adam ubi es? Non per altra cagione che per publicarlo origine principale del nostro danno».
Mientras que la proscripción de comer del árbol aparece en Gn 2:17, la creación de la mujer a partir de la costilla de Adán se relata en Gn 2:22.
Este mismo argumento aparece en De nobilitate et praeccellentia faemini sexus de Cornelius Agrippa: «la bendición le fue otorgada gracias a la mujer, en cambio, la ley, ley de ira y de maldición, gracias al varón. Al varón le había sido prohibido el fruto del árbol, no a la mujer, que todavía no había sido creada; en efecto, a ella Dios la quiso libre desde el principio. Por eso el varón pecó al comer, no la mujer; el varón causó la muerte, no la mujer. Y todos nosotros hemos pecado por Adán, no por Eva, y contraemos el pecado original no a partir de la primera mujer sino del primer varón». (2011: 104-105).
«Non con altri mezzi suggerì il serpente infernale ad Eva il cibarsi del vietato pomo, se non solo col suporle, che quel frutto fosse atto à far apprendere la sapienza. Eritis, le diss´egli, scientes bonum, et malum, e cosi ella per questa brama di sapere, non biasimeuole in chi si sia, compiacque al maledetto tentatore. Da ciò cavasi certo argomento, che le donne non siano cosi stollide, che non apprezzino l´intelligenza, come voi altri intendenti selvatici andate publicando. E se ben le infelici sono escluse dal poterle perfettamente apprendere, per la vostra temeraria tirannide, con che loro il dinegate: tengono elle però un continuo stimolo à fianchi, che le sprona al proffesso delle dottrine».
Sobre la teología feminista véase Gibellini (1998: 445-476).
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