Entreculturas.  Revista  de  Traducción  y  Comunicación  Intercultural
Entreculturas 12 (2022) pp. 69-84 — ISSN: 1989-5097

Esempi dell’uso delle note allografe nella traduzione di alcuni romanzi di Andrea Camilleri e di Arturo Pérez-Reverte

Entreculturas.  Revista  de  Traducción  y  Comunicación  Intercultural
Examples of the use of allographic notes
in the translation of some novels
by Andrea Camilleri and Arturo Pérez-Reverte
Simona Demontis
Universidad de Málaga
Recibido: 6 de septiembre de 2021
Aceptado: 1 de diciembre de 2021
Publicado: 27 de febrero de 2022
ABSTRACT
The methodological basis is the concept of paratextuality outlined by Genette in the broader context of his general poetics on transtextuality; this work focuses in particular on the use of the allographic note in translation of some Andrea Camilleri’s and of Arturo Pérez-Reverte’s works. The aim is to demonstrate, even with rather partial data, that the use of allographic notes in the translations of these authors offers useful insights into the linguistic varieties and culture of the countries of origin. The inclusion of footnotes in a translation does not imply an admission of incompetence on the part of the translator, but it does reveal the ethical will to share with a foreign reader the choices, language and strategies of an author from another country, to make perceive the immeasurability of the differences between cultures —which however does not prevent communication—, as a value and not as a defeat.
KEYWORDS: Camilleri, Pérez-Reverte, paratext, translation, allographic notes.
RESUMEN
La base metodológica es el concepto de paratextualidad delineado por Genette en el contexto más amplio de su poética general sobre la transtextualidad; este trabajo se concentra en particular en el uso de la nota alográfica en la traducción de algunas obras de Andrea Camilleri y de Arturo Pérez-Reverte. El objetivo es demostrar, incluso con datos bastante parciales, que el uso de notas alográficas en las traducciones de estos autores es de gran utilidad para dar una idea concreta de las variedades lingüísticas y de la cultura de los países de origen. La inclusión de notas a pie de página en una traducción no implica una admisión de incompetencia por parte del traductor, sino que revela la voluntad ética de compartir con un lector extranjero las opciones, la lengua y las estrategias de un autor de otro país, para hacer percibir la inconmensurabilidad de las diferencias entre culturas —que, sin embargo, no impide la comunicación—, como valor y no como derrota.
PALABRAS CLAVE: Camilleri, Pérez-Reverte, paratexto, traducción, notas alográficas.

1. Paratestualità e traduzione

Negli anni Sessanta del ‘900 Julia Kristeva, nel contesto del fecondo mondo intellettuale parigino che faceva capo a nomi quali Barthes, Lacan, Derrida, Foucault, conia il termine di intertestualità1. La studiosa franco-bulgara, prendendo spunto dalle riflessioni di Saussure sul “paragramma” e soprattutto dal pensiero sul dialogismo di Bachtin, elabora una fortunata teoria, secondo la quale, detto in maniera concisa, un testo è formato dall’incastro delle citazioni provenienti da altri testi (Concina 2010: 62-64).

Il concetto viene ripreso e riproposto con accezione più o meno ampia da altri critici come Roland Barthes e Michael Riffaterre e fatto proprio successivamente da Gérard Genette, che gli conferisce un significato più restrittivo e lo ricomprende all’interno della più vasta concezione della transtestualità, la «transcendance textuelle du texte» ovvero, in sintesi, «tout ce qui [met le texte] en relation, manifeste ou secrète, avec d’autres textes». (Genette 1982: 171-172). Genette enumera cinque tipi di relazione transtestuale: l’intertestualità, la paratestualità, la metatestualità, l’ipertestualità, l’architestualità, tenendo a precisare che «il ne faut pas considérer les cinq types de transtextualité comme des classes étanches, sans communication ni recoupements réciproques» (Genette 1982: 338). Non sono quindi da considerare come categorie rigide e auto esclusive, ma alla stregua di strumenti impiegati per l’interpretazione del testo, i quali anzi godono di un continuo interscambio e interdipendenza.

Nella fattispecie, secondo Genette tutto ciò che ruota intorno al testo senza farne parte deve ascriversi alle forme del paratesto (Genette 1982: 205)2, distinto in due forme: tutto ciò che fa parte materialmente del libro, ma non del racconto, appartiene al peritesto (Genette 1987: 7). Sono ricompresi in questa definizione il titolo stesso e i sottotitoli, il colophon, le dediche, i ringraziamenti e gli eserghi; le note autoriali, inserite per volontà di chi ha redatto il testo; le note allografe (Genette 1987: 10), cioè aggiunte da terzi, quali l’editore, il curatore, il traduttore; le prefazioni, le introduzioni, le postfazioni, le interviste in appendice, i glossari, i risvolti di copertina. Attiene all’epitesto, invece, tutto ciò che riguarda il volume esteriormente, «n’importe où hors du livre» (Genette 1987: 330 e ss): le fascette editoriali, i lanci pubblicitari sulla stampa e sui media, le interviste, le recensioni. Talvolta le dichiarazioni alla stampa o le interviste vengono successivamente inserite all’interno di volumi, il che trasforma l’epitesto in peritesto (Genette 1987: 330). Il critico francese non si occupa del merchandising, né al momento della redazione dei sui testi (che risalgono agli anni ’80) poteva includere i social media, che oggigiorno assumono un ruolo fondamentale per favorire la visibilità e la diffusione di un qualsivoglia materiale.

Questo lavoro intende concentrarsi in particolare sull’uso di una forma peritestuale, la nota allografica del traduttore, specificatamente nella traduzione di alcune opere di Andrea Camilleri (1925-2019) e di Arturo Pérez-Reverte (1951-), scrittori di Paesi e lingue diversi che tuttavia presentano numerose affinità sotto diversi punti di vista, come ho cercato di dimostrare in alcuni articoli (Demontis 2020a, 2020b, 2021b). Entrambi hanno da tempo raggiunto un livello di fama internazionale e tale popolarità è favorita anche dalla traduzione di buona parte delle loro opere in numerose lingue straniere. Per avere un’idea di questa diffusione, basta consultare le pagine dedicate all’argomento nel sito ufficiale del romanziere spagnolo3 e nel sito ufficioso dello scrittore italiano, il Camilleri Fans Club4.

L’opera omnia di questi autori supera in totale i centocinquanta titoli: comprensibilmente la casistica è amplissima e darne conto esaustivamente implicherebbe un elenco sterminato e in definitiva non necessario. Non si ha quindi certo la pretesa di analizzare in questa sede la problematica nella sua interezza, che deve tenere conto delle specifiche difficoltà afferenti alla singola lingua meta, e la si lascia quindi nelle mani degli specialisti5. L’obiettivo che si propone questo studio è quindi sottolineare gli aspetti ritenuti più significativi e portatori di senso, inseriti all’interno di una schematizzazione necessaria ai fini didascalici e di perspicuità, senza che ciò impedisca la possibilità di una lettura alternativa e/o complementare che faccia includere i testi all’interno di un’altra classificazione. Sarà quindi preso in esame un campione limitato ad alcuni volumi, allo scopo di verificare l’eventuale esistenza e valenza soprattutto delle note allografe, inserite nelle traduzioni per agevolare l’intelligenza del racconto (Henry: 2000).

Sembra opportuno contestualizzare brevemente in un più ampio contesto le problematiche afferenti alla traduzione degli autori in oggetto. In ambito comparatistico, è noto che il rapporto fra il testo e la traduzione sia oggetto di un’ampia riflessione che sta diventando sempre più rilevante, dando luogo a prese di posizione anche radicali come quella di Bassnett (1996: 234) che sostiene: «D’ora in avanti dobbiamo abituarci a considerare gli studi sulla traduzione come la disciplina principale, rispetto alla quale la letteratura comparata è un’area di ricerca sussidiaria, anche se importante». Nella sfera traduttologica è piuttosto vivo il dibattito circa le strategie da utilizzare, specie dopo la pubblicazione delle dirimenti riflessioni di Venuti (2008) circa l’invisibilità del traduttore. Detto in maniera succinta (Toledano Buendía 2010), c’è chi da una parte ritiene necessario che, per diverse motivazioni, gli interventi traduttivi non debbano essere percepibili, prima di tutto per riguardo nei confronti dell’autore del testo; in secondo luogo per favorire la fluidità della lettura che agevoli la fruizione; oppure perché si considera l’intraducibilità di un’espressione come un’ammissione dei propri limiti, una «seuil d’incompétence» come suggerisce Henry (2000: 239). Dall’altra parte si contrappone chi invece individua nel mediatore linguistico un compito etico, che sottolinei la differenza culturale fra il testo di partenza e quello di arrivo, un valore che altrimenti passerebbe inosservato da parte del lettore (Venuti 2008, Chiurazzi 2014). L’analisi di questo articolo, pertanto sarà condotta anche sulla base di queste riflessioni.

2. La selezione delle opere

Sono state selezionate a titolo esemplificativo le traduzioni di alcune opere di Camilleri in castigliano, francese e inglese e di alcuni romanzi di Pérez-Reverte in italiano, francese e quando possibile in inglese (lingua nella quale è disponibile poco più di una dozzina di volumi). Bisogna premettere che i problemi traduttivi implicati dal linguaggio meticciato di Camilleri, inteso ormai come vigatese6, secondo le indicazioni dello stesso autore (Rosso 2012: 31; Camilleri, De Mauro, 2013: 77; de Fazio 2021: 87), cioè pertinente alla città immaginaria di Vigàta, hanno dato adito a un consistente numero di testimonianze da parte degli stessi traduttori, che espongono le perplessità e le soluzioni escogitate per superare passaggi particolarmente ostici. Tra i tanti contributi si segnalano le osservazioni di Serge Quadruppani (1999) e Dominique Vittoz (2004) per le versioni in francese; di Stephen Sartarelli (2018) per l’inglese; di Carlos Mayor (2017) per lo spagnolo; di Pau Vidal (2018) per il catalano, di Moshe Kahn (2018) per il tedesco e così via. È disponibile, inoltre, un buon numero di saggi specialistici e tesi di laurea (e molti altri articoli e tesi sono in preparazione), che sono di supporto per gli elementi parziali che qui si vogliono mettere in evidenza7. Circa Pérez-Reverte, rimando alle riflessioni di Ulrich Kunzmann (2009), riguardo alla traduzione della serie di Alatriste in Germania e di Daria Ornat (2011) rispetto alla versione polacca: la letteratura critica in merito alla produzione revertiana non è certo altrettanto consistente, cosa che induce ad evincere che il linguaggio adottato dallo scrittore spagnolo rappresenti ostacoli più facilmente superabili.

È il motivo per cui in questa analisi, all’interno della sua ampia produzione, siano da considerare come più significativi i due libri di Pérez-Reverte che più di altri paiono rappresentare maggiori difficoltà secondo questa prospettiva: El puente de los asesinos, caratterizzato da un accentuato mistilinguismo e, anche più segnatamente, La Reina del Sur nel quale il castigliano è inframezzato da espressioni di spagnolo regionale e soprattutto da inflessioni messicane, per restituire la parlata del Paese natale della protagonista e di altri personaggi minori8.

Stando alle ricerche disponibili, pare che i traduttori di Camilleri in castigliano abbiano scelto la strada dell’invisibilità, perché raramente si trovano chiose aggiuntive ed esplicative, definite da Brandimonte (2015: 45) «l’ultima risorsa a disposizione per il traduttore che deve affrontare un testo in dialetto»9, mentre è giudicata pienamente condivisibile la segnalazione dell’intrusione linguistica con l’uso del corsivo (Brandimonte 2017: 40). Circa la scelta delle opere di Camilleri, è sembrato opportuno, quindi, in primo luogo tenere da conto i romanzi trasposti in castigliano che si distaccano, seppure debolmente, da questa prassi: Il cane di terracotta e La voce del violino.

2.1. Le diverse scelte traduttive

Le differenze fra le traduzioni prese in esame sono evidenti, pur in una selezione ridotta ai due titoli esemplificativi. Ne El perro de terracota, infatti, la traduttrice María Antonia Menini Pagès ha scelto di spiegare il termine omertà (in corsivo nel testo) con una nota a margine (Camilleri 2003a: 27; nota: 237)10; la stessa valutazione è stata fatta da Sartarelli nell’edizione inglese The Terra-Cotta Dog (che rispetto all’ampio bacino di lettori anglofoni si rivolge non tanto ai britannici, quanto al pubblico americano), nella quale la definizione della parola figura fra le numerose note presenti nel volume (Camilleri 2002: 42; nota: 222). Invece Quadruppani in Chien de faïence (Camilleri 1999: 22) mantiene il vocabolo omertà in italiano, sottolineato dal corsivo, ma non stima necessario farlo comparire fra le oltre venti note di cui il testo è corredato, probabilmente nella convinzione che il suo significato sia largamente deducibile in terra di Francia, senza ulteriori chiarimenti.

Ne La voz del violín, Menini Pagès ha preferito lasciare l’espressione in lingua originale «Lattes* e mieles» (Camilleri 2000: 26), soprannome giocato sul cognome Lattes, affibbiato a un viscido personaggio, limitandosi a precisare succintamente «*Leches, en italiano, (N.d.T.)». Paradossalmente, nelle versioni francese e inglese, che pure presentano un consistente apparato di note, i traduttori hanno fatto un’altra scelta, variando il testo italiano ed evitando in quel caso l’uso della nota: Quadruppani modifica il cognome latinizzandolo in Lactes, da cui deriva «Lactes e miels» (Camilleri 2001: 17) e Sartarelli rivoluziona il nickname in «Caffè-Lattes», termine perfettamente chiaro nella lingua meta (Camilleri 2003b: 13). Una simile strategia, attenta alla ricezione, è stata adottata da Bruno Arpaia, che ne L’ultima carta è la morte (titolo italiano di Eva di Pérez-Reverte) trasforma la frase «Parecíamos Pipo y Pipa» (Pérez-Reverte 2017: 217)11, con personaggi sconosciuti in Italia, in «Sembravamo Pippo e Paperino» (Pérez-Reverte 2018: 215), protagonisti disneyani ben noti, riuscendo a conservare l’allitterazione della versione originale oltre che la goffaggine dei caratteri in questione. Meno convincente risulta ne La carta sferica l’uso da parte di Roberta Bovaia e Silvia Sichel di un’allusione non presente nel testo spagnolo, la similitudine manzoniana «come un vaso di coccio tra due vasi di ferro» (Pérez-Reverte 2000b: 223), nell’intento di rendere una frase idiomatica dal significato volgare, «me van a dar bien por saco entre todos» (Pérez-Reverte 2000a: 347). In entrambi i casi, non ci sono note che esplicitino la trasformazione del testo originale.

2.2. Riferimenti metanarrativi e scelte editoriali

È interessante vedere anche l’atteggiamento dei traduttori verso espressioni che afferiscono alla sfera culturale dei due autori, i quali di frequente inframmezzano i testi con allusioni colte rivolte ai lettori più avvertiti. Un esempio lampante è costituito da «la svinturata arrispose»12, parodia camilleriana riferita a Gertrude, la monaca di Monza ne I Promessi sposi di Manzoni, tratta da Il birraio di Preston, che non tutti i fruitori italiani sono in grado di cogliere, nonostante il capolavoro manzoniano sia inserito nel curriculum scolastico da tempo immemore. Si tratta in effetti di un riferimento piuttosto sottile a un monumento della letteratura nazionale e a maggior ragione, quindi, avrebbe necessità di un intervento di mediazione da parte del traduttore per permetterne la ricezione da parte del lettore straniero. Tale operazione è stata effettuata ne L’opéra de Vigàta da Quadruppani (Camilleri 1999a: 114; nota: 182), ma non nelle altre due traduzioni consultate: la versione in castigliano, La ópera de Vigàta, curata da Juan Carlos Gentile Vítale (Camilleri 1999b: 112) non presenta alcun apparato critico13, mentre la trasposizione in inglese di Sartarelli, The brewer of Preston (Camilleri 2014: 52), pur corredata da un nutrito numero di note allografe in chiusura del volume, tace su questo specifico punto che possa svelare al lettore anglofono il richiamo. Questo può significare che ai traduttori sia sfuggito il preziosismo o che pur avendolo colto non abbiano ritenuto necessario doverlo restituire in maniera esplicita.

Un analogo esempio è offerto da El club Dumas di Pérez-Reverte: un brano (1993: 205) che evoca il verso virgiliano «Timeo Danaos et dona ferentes» (Aen. II, 49) è particolarmente significativo della cultura classica di cui l’autore spagnolo si nutre ed è probabilmente difficile da decifrare anche per il lettore spagnolo medio, ma nessuna delle traduzioni consultate (francese, inglese, italiana)14 offre qualche delucidazione. È ben vero che nel novero delle opere revertiane tradotte, le note scarseggiano anche nel caso di romanzi complessi come questo o La Tabla de Flandes. Nelle versioni in italiano, per esempio, non si fa quasi mai ricorso alle note allografe; i numerosi traduttori che si sono cimentati si sono limitati perlopiù a riproporre quelle già presenti nel testo originale15: per esempio ne L’ussaro (Pérez-Reverte 2005: 207) compare, spostata in coda al racconto, solo la nota autoriale circa l’edizione filologica del volume, rieditato in Spagna nel 2004 con numerose modifiche rispetto alla prima edizione del 1986. Inspiegabilmente, invece, ne Il ponte degli assassini (Pérez-Reverte 2012b), l’ultimo episodio (sinora) della saga di Alatriste che è ambientato in Italia e in gran parte a Venezia, non è stato ritenuto necessario inserire la nota che nella versione originale precede la narrazione (Pérez-Reverte 2011a [2012a: 1492])16, indicativa della complessa congerie linguistica di cui il testo è intessuto che presenta frasi in diverse lingue e slang. Essa viene riportata, peraltro, nella traduzione in francese di François Maspero, Le Pont des assassins, addirittura accompagnata da un’altra chiosa che specifica una delle strategie della traduzione (Pérez-Reverte 2011b: 7)17. Un confronto tra le tre versioni (in inglese il volume non è stato tradotto) permette di osservare delle differenziazioni nella tecnica traduttiva, soprattutto riguardo alle frasi in italiano ibridato presenti nel testo in castigliano: in francese sono molto vicine all’originale, mentre in italiano le traduttrici Eleonora Mogavero e Giuliana Carraro hanno scelto di inserire inflessioni del dialetto veneziano. Così, la battuta di Donna Livia Tagliapiera «bisoña algo di più» (Pérez-Reverte 2011a [2012a: 1592]) diventa in italiano «la gh’ha bisogno» (Pérez-Reverte 2012b: 100) e in francese, «bisogna quelque chose di più» (Pérez-Reverte 2012a: 83); un’altra frase (limitando a due i molteplici esempi possibili), «Vuesiñoría è un uomo singolare» (Pérez-Reverte 2011a [2012a: 1649]), viene alterata in «Vussioria xe un omo singolare» (Pérez-Reverte 2012b: 156), mentre in francese si riporta il più simile «Vuesignoria è un uomo singulare» (Pérez-Reverte 2012a: 131). Ci si potrebbe domandare se nella versione in italiano sarebbe stato appropriato giustificare in nota tali interventi, che sembrano non tanto atti a favorire la comprensione del testo —nel quale si dice chiaramente che la mondana «Se aplicaba a la parla castellana con desparpajo y fuerte acento véneto» (Pérez-Reverte 2011a [2012a: 1588])— quanto a immettere una connotazione regionale in esso inesistente, operando quindi nel senso della «domesticated version», avversata da Venuti (2008: 193). Se infatti da un lato «too many footnotes destroy the “clean face” of the original text, and they could eventually bore the reader» (Miao, Salem 2010: 25), dall’altro è ovvio che il lettore sia libero di scegliere se leggerle o meno e quindi il problema concerne la ricezione del testo.

Molto spesso si tratta in effetti di decisioni editoriali (Brandimonte 2015: 44), attente alla commercializzazione del libro, piuttosto che di scelte traduttive ponderate. A Málaga, a margine della serata inaugurale del VI Seminario sobre la obra de Andrea Camilleri: Camilleri / il Mediterraneo: incroci di rotte e di narrazioni18, ho avuto modo di fare una chiacchierata informale con Stephen Sartarelli, il poeta statunitense autore di quasi tutte le traduzioni in inglese dell’opera di Camilleri. Alla mia osservazione che le sue prime fatiche fossero pressoché in un inglese standard, ma che le più recenti sembrassero essere più attente al linguaggio meticciato camilleriano, mi rispose che infatti era riuscito a conquistare a poco a poco maggiore libertà circa gli azzardi linguistici, a fronte di un editore preoccupato soprattutto della vendibilità del prodotto. Questa problematica è in stretta relazione al fatto che la maggior parte della produzione di Camilleri ambientata in epoche passate, fortemente legata alla storia italiana locale e con un intreccio linguistico ancora più intricato, non sia stata tradotta in inglese, proprio perché ritenuta inadatta al mercato americano. La stessa esigenza di raggiungere un probabile target di lettori pare essere alla radice dell’analoga assenza della versione anglosassone anche della gran parte dell’opera revertiana di matrice storica, contrassegnata da intrinseci legami con la storia spagnola.

3. Il focus su La Reina del Sur

Tra il campione preso in esame, sembra opportuno circoscrivere l’attenzione all’unico testo revertiano che presenta numerose note allografe da parte dei traduttori presi in considerazione per questo lavoro, cioè La Reina del Sur (Pérez-Reverte 2002): il francese Maspero ne dissemina oltre trenta, distribuite soprattutto nei capitoli iniziali, per familiarizzare il lettore con il lessico tipicamente messicano (Pérez-Reverte 2003b)19. In questa versione infatti c’è la tendenza, rispetto alle altre due lingue, a lasciare molti più vocaboli in lingua originale, tradotti con le note esplicative a margine, anche se si preferisce tradurre termini quali musica grupera in musique populaire e taquería in café (Pérez-Reverte 2003b: 17, 363).

Sebbene nella traduzione italiana di Bovaia La Regina del Sud (Pérez-Reverte 2003a) ci sia quasi lo stesso numero di note20, la maggior parte di esse si riferisce alla traduzione dei corridos, che vengono quasi sempre mantenuti in originale nel testo. Occasionalmente si offre una breve spiegazione interna al racconto stesso evitando la nota, per esempio: «música norteña» diventa «musica nortena, quella di moda negli stati del Nord»; oppure «amos do fume» è ampliato in «amos do fume, i signori del fumo» e analogamente «amos de fariña, i signori della coca» (Pérez-Reverte 2003a: 21, 78, 281). Più spesso si giudica conveniente tradurre direttamente senza spiegazioni, privando il testo delle connotazioni tipicamente locali, che invece permangono nella versione francese (e di cui si dà spiegazione in nota): el Güero > il Biondo; una particolare branca di militari messicani, guachos > semplicemente soldati; metafora messicana per il denaro, cueros de rana > anonimi bigliettoni verdi; uno specifico frutto di mare, callo de hacha > molluschi qualunque; imbarcazioni tipicamente locali pateras > zattere; membri della polizia in Marocco mehanis > poliziotti marocchini; calzature tradizionali huaraches > sandali di cuoio; un piatto tipico tacos de cabeza y vampiros > tacos di testa di vitello e altre specialità sinaloensi (Pérez-Reverte 2002: passim, Pérez-Reverte 2003a: passim)21.

Nella versione in lingua inglese di Andrew Hurley (Pérez-Reverte 2004), diretta soprattutto al mercato americano, permangono alcune espressioni di slang spagnolo messicano, perlopiù di significato volgare, come híjole, chingale, pinche, órale, mentre pendejo viene reso con cabrón; in francese e in italiano, invece, sono tradotte in svariati modi, spesso attenuando il significato scurrile.

Per una maggiore chiarezza circa le differenze delle strategie traduttive de La Reina del Sur riguardo ai termini specificatamente messicani è stata approntata la Tabella 1, per favorire la leggibilità. Per interpretarla al meglio, premetto che sono state lasciate in corsivo le parole che così sono inserite nei differenti testi; l’uso del neretto è distintivo delle amplificazioni extra-testuali nelle traduzioni e dell’inclusione delle note esplicative, presenti pressoché esclusivamente nella sola versione in francese.


TABELLA 1.
Termini in slang messicano in alcune traduzioni de La Reina del sur

Termini in slang messicano in alcune traduzioni de La Reina del sur

Si potrebbe opinare che l’assenza di note a margine nella versione inglese sia da attribuire al fatto che si tratti di una terminologia abbastanza comune negli Stati Uniti, data la massiccia presenza di ispanofoni nel territorio. Il traduttore ritiene tuttavia che alcune locuzioni siano evidentemente bisognevoli di delucidazioni: e infatti compaiono in buon numero integrate direttamente nel testo, che talvolta viene persino parafrasato, senza alcuna distinzione che indichi la ‘paternità’ dei riferimenti, rintracciabili solo dal confronto con il testo originale. Una strategia che ha evidentemente l’obiettivo di fornire delle spiegazioni senza interrompere il flusso della lettura. Un esempio emblematico è costituito dal verso di un corrido «Vivo de tres animales […] mi perico, mi gallo y mi chiva» (Pérez-Reverte 2002: 49), che contemporaneamente viene tradotto e spiegato: «Vivo de tres animales —mi perico, mi gallo y mi chiva. I make my living from three animals: my parakeet, my rooster, and my goat— which in Mexican slang was coke, marijuana, and heroin» (Pérez-Reverte 2004: 41); gli altri corridos, peraltro, sono tutti tradotti in inglese. La versione di Maspero, invece, lascia il testo originale immutato, ma chiarisce in nota: «Surnoms donnés à la drogue: le perico (la perruche) désigne la cocaïne; le gallo (le coq), la marijuana; la chiva (la chèvre), l’héroïne» (Pérez-Reverte 2003b: 34). Ancora diversa la scelta di Bovaia, che traduce il verso della canzone nel testo (negli altri casi i versi dei corridos, come già specificato, sono sempre stati lasciati in spagnolo, con la traduzione in nota): «Vivo di tre animali […] il mio pappagallo, il mio gallo e la mia capra», ma poi aggiunge in nota «Gioco di parole intraducibile: perico, pappagallo, nel gergo del narcotraffico messicano significa anche “coca”; gallo sta anche per marijuana e chiva, capra, per eroina» (Pérez-Reverte 2003a: 33).

La Tabella 2 intende fornire un esemplificativo sguardo d’insieme circa la presenza delle note allografe nelle diverse traduzioni o di amplificazioni extratestuali in loro sostituzione, con l’avvertenza che non sono state senz’altro esaurite tutte le particolarità linguistiche presenti nel testo originale. Il quadro sinottico evidenzia che la traduzione francese è decisamente più incline a utilizzare le note a margine rispetto all’edizione in italiano, mentre quella in inglese le evita del tutto. Maspero quindi sceglie consapevolmente di porre il fruitore davanti a una lettura il più possibile filologica, pur correndo il rischio di interromperne la fluidità, che sembra l’obiettivo perseguito dalle altre due traduzioni.


TABELLA 2.
Presenza di nota allografe in alcune traduzioni de La Reina del sur

Presenza di nota allografe in alcune traduzioni de La Reina del sur

4. Il focus su Il cane di terracotta

Un’analoga analisi su Il cane di terracotta produce risultati piuttosto interessanti. Come si è detto, nella versione spagnola El perro de terracota compare un’unica nota esplicita, tuttavia Menini Pagès utilizza talvolta la strategia di Bovaia e Hurley, vale a dire inserisce nel testo qualche apposizione o locuzione che specifica il significato di un termine che si suppone ostico (per il testo originale rimando alla Tabella 3 infra): «cárcel del Ucciardone»; «al penal de la Asinara»; «L’e el di di mort, alegher! ¡Es el día de los muertos, alegría!»; «los jueces Falcone y Borsellino»; «Liga de los Independentistas del Norte» (Camilleri 2003a: 19, 40, 88, 122, 221). Altre volte valuta il testo come già esaustivo, come nel caso di farlacche e mèusa (Camilleri 2003a: 77, 160) o non necessitante di spiegazioni a causa della similarità linguistica, per esempio riguardo a «Gallo, Galluzzo – madre mía, eso parece un gallinero» (Camilleri 2003a: 20). Si tratta sempre di chiose informative, atte a agevolare l’intelligenza del racconto, mai note che facciano percepire la lingua plurale di Camilleri, per parafrasare Bufalino (1990: 18-20): la varietà dei registri linguistici si appiattisce in uno spagnolo pressoché uniforme e, come sottolineato da Caprara (2007: 616), «inevitablemente se pierde algo de la carga semántica y la ironía procedentes del uso del dialecto»

La traduzione in francese di Quadruppani, Chien de faïence (Camilleri 1999c), presenta una strategia che potrebbe definirsi analoga a quella di Maspero per La Reine du sud: la maggior parte delle note (ventiquattro in tutto) chiarisce il significato dei termini in vigatese che nel testo sono lasciati in originale e in corsivo; in qualche caso si danno informazioni che riguardano alcune personalità della cultura o inerenti alla politica, che potrebbero non essere recepiti correttamente, come nel caso della citazione di Falcone e Borsellino (Camilleri 1999c: 106). Altre volte si spinge verso il commento sarcastico, come a riguardo della leghista sfegatata, definita «Membre de la Lega, mouvement séparatiste du Nord de l’Italie, xénophobe et poujadiste, remarquable par l’imbécillité de ses chefs et de ses discours» (Camilleri 1999c: 192), cioè una chiosa che «supone comentario externo al texto del que el autor no tiene ninguna responsabilidad» (Toledano Buendía 2010: 655). Quadruppani si sforza di mantenere il multilinguismo, di far respirare l’aria locale, anche a costo di sospendere il flusso della narrazione, inducendo il lettore a consultare le note a margine.

Infine la traduzione di Sartarelli, The Terra-Cotta Dog (Camilleri 2002), consta di un numero di note considerevole (si è ritenuto superfluo riportarle tutte). Non si tratta certo di ridondanza da parte del poeta statunitense, ma della volontà di restituire il più possibile il mondo mediterraneo ed europeo piuttosto avulso dalla cultura dei fruitori, al pubblico anglofono, costituito in gran parte da americani. Di seguito una tabella esplicativa, la Tabella 3, per uno sguardo d’insieme da cui emergono i diversi stili traduttivi nelle tre diverse lingue e l’assenza dell’apparato delle note dell’edizione in castigliano.


TABELLA 3.
Presenza delle note allografe in alcune traduzioni de Il cane di terracotta

Presenza delle note allografe in alcune traduzioni de Il cane di terracotta

Nell’edizione in inglese sono comprese, però, non solo note di carattere linguistico —che perlopiù coincidono con il tenore della maggior parte delle note dell’edizione francese—, cioè indicazioni supplementari che «añaden información al texto para devolverle la (supuesta) integridad perdida» (Toledano Buendía 2010: 655) ma quelle che vengono definite note di commento (Henry 2000: 230; Toledano Buendía 2010: 654-655). Vengono fornite, infatti, delucidazioni descrittive riguardo a persone e a fatti specifici dell’Italia del periodo in cui si svolge la vicenda, negli anni ’90, nonché in riferimento alle indagini parallele sugli eventi ambientati negli anni ’40, sui quali nemmeno Quadruppani interviene, giacché si suppone che un lettore europeo non abbia bisogno di ragguagli in tal senso. Così Sartarelli fornisce una definizione di «repubblichini», di «fasci di combattimento», di «podestà», di «Giovani Italiane» e illustra brevemente il ruolo del filosofo Giovanni Gentile all’interno del ventennio fascista (Camilleri 2002: 48, 49, 159, 230, 178); specifica il diverso ruolo della Guardia di finanza e dei Carabinieri; spiega il valore del cambio delle lire in dollari americani, cosa sia la RAI e il “Corriere” (Camilleri 2002: 125, 170, 252, 304, 310).

La Tabella 4 che segue è stata realizzata con l’intenzione di offrire un colpo d’occhio immediato riguardo a questo aspetto:


TABELLA 4.
Presenza di note allografe aggiuntive nella traduzione inglese de Il cane di terracotta

Presenza di note allografe aggiuntive nella traduzione inglese de Il cane di terracotta

Da questa tabella risulta infatti evidente l’assenza praticamente totale di note nelle versioni francese e spagnola a fronte dei continui suggerimenti nell’edizione inglese.

5. Conclusioni

Questi dati, seppure piuttosto parziali, permettono di fornire un quadro riepilogativo circa le tecniche operate in alcuni Paesi riguardo alle traduzioni dell’opera di Camilleri e Pérez-Reverte. Le versioni incrociate spagnolo/italiano e italiano/spagnolo paiono rispondere alla stessa strategia: si avverte un’irrisoria presenza di note esplicative, con lo scopo di offrire una lettura continuata e fluida che metta a proprio agio qualunque classe di lettore, trascurando se non sottovalutando le diversità culturali fra la lingua di partenza e la lingua meta. I risultati raggiunti, perlomeno riguardo alle traduzioni camilleriane, sono ampiamente messi in discussione e paiono suscettibili di miglioramento: Brandimonte (2015: 45) si spinge ad affermare che «Se gli editori e, di conseguenza, i traduttori di lingua spagnola avessero prestato ascolto alle preziose indicazioni fornite nel corso degli anni da Camilleri attraverso le interviste, probabilmente sarebbe stato possibile raggiungere dei risultati maggiormente soddisfacenti». Trovato (2020: 231), in un saggio dedicato alla componente gastronomica, osserva come i termini dialettali siano lasciati in originale, sottolineati dal corsivo, concludendo che «al no proporcionar ninguna glosa o nota explicativa, es casi imposible que el lector sepa ante qué plato se encuentra»22. Del resto già Caprara (2004: 50) aveva deprecato il mancato uso delle note nella traduzione de El perro de terracota affermando che «gracias a ellas, consideramos aún más profonda e interesante la labor del traductor».

Le edizioni francesi, in entrambi i casi, scelgono invece il frequente inserimento di glosse anche a costo di richiedere qualche sforzo al lettore che viene implicitamente invitato a collaborare e a ricavare dal testo un mondo altro, talvolta decisamente lontano dal proprio. Le traduzioni camilleriane di Quaddruppani e Vittoz, tuttavia, a parere di Brandimonte (2015: 44-45) utilizzando dialetti locali (lionese e marsigliese) si avvicinano a quella che Venuti (2008: 193) denominava la «domesticated version» dell’originale che tende a «to ignore the linguistic and cultural differences at stake», senza quindi realizzare l’auspicata ‘foreignizing’ (Venuti 2008: 15 e ss.)23, che è applicata piuttosto spesso nel caso delle traduzioni dell’Europa centro-settentrionale (Brandimonte 2015: 44). Le versioni in inglese considerate, peraltro, oscillano tra opposti metodi di traduzione, vale a dire fra la parafrasi e la modifica del testo di partenza effettuata da Hurley, che tende all’invisibilità ed evita ogni esplicito elemento paratestuale, versus l’acquisizione del ruolo di mediatore linguistico a cui mira Sartarelli, con l’uso dello slang popolare del New England e l’inserimento di un notevole numero di note di supplemento e di commento. Le chiose di Sartarelli sono inserite in chiusura ai volumi, quindi da un lato assecondano la curiosità filologica di certi lettori, dall’altro non rischiano di ‘disturbare’ la continuità di una fruizione più distratta e meno avvertita. Anche in questo caso si ripropone la contrapposizione fra «‘alienating’» method «as opposed to ‘naturalizing’», (secondo le definizioni di Hatim, Munday [2004: 29] che riprendono e aggiornano le distinzioni di Venuti), con un certo squilibrio verso le traduzioni ‘naturalizzate’.

Riguardo specificatamente alle note allografe, in definitiva, si può ricavare che il loro uso nelle traduzioni dei romanzi di Camilleri e di almeno alcuni di Pérez-Reverte abbia l’efficacia di offrire un’idea concreta delle varietà linguistiche e della cultura dei Paesi di provenienza. Inserire delle chiose in una traduzione non comporta quindi un’ammissione di incompetenza da parte di chi traduce, ma fa trasparire la volontà etica di far condividere a un lettore straniero le scelte, la lingua e le strategie di un autore di un altro Paese, di far percepire l’incommensurabilità delle differenze come un valore e non come una sconfitta (Chiurazzi 2014: 3-4).

Bibliografia

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Camilleri Fans Club, a cura di F. Lupo, http://www.vigata.org

Sito ufficiale di Arturo Pérez-Reverte, http://www.perezreverte.com/.

1 Il rimando d’obbligo è all’articolo (Kristeva 1967), ma il concetto viene ripreso anche in altre opere successive della studiosa, quale (Kristeva 1969 [1978]).

2 Tale definizione sintetica viene ampliata in (Genette 1987), in cui l’argomento è stato sviscerato.

3 Cfr. http://www.perezreverte.com/bibliografia/ediciones-extranjeras/, in http://www.perezreverte.com/.

4 Cfr. http://www.vigata.org/traduzioni/bibliost.shtml, in http://www.vigata.org. Un utile e dettagliato riepilogo concernente la problematica sulle traduzioni dell’opera di Camilleri si trova in (Caprara 2019).

5 Riguardo a Camilleri è da segnalare il pioneristico lavoro di (Caprara: 2007). Circa Pérez-Reverte, non ci sono analisi riepilogative in tal senso.

6 L’espressione è stata probabilmente coniata da Mauro Novelli (Novelli 2002: LXII).

7 Per altri numerosi contributi in merito rimando a (Demontis 2021a: 91-98).

8 Sulle peculiarità linguistiche del romanzo, si vedano (Franz, Alonso Marks, Zamora-Lara 2004), (García-Alvite 2006), (Rodríguez Toro 2007). Secondo le dichiarazioni di Pérez-Reverte, lo scrittore messicano Èlmer Mendoza, definito «mi casi hermano […] Rectifico: nada de casi hermano. Carnal, completo» (Pérez-Reverte 2020: 1722), è stato di impareggiabile aiuto per la redazione de La Reina del Sur, la cui protagonista non a caso si chiama Mendoza.

9 Brandimonte a sua volta cita la sua tesista Panarello (2013: 82). Nell’articolo di Brandimonte si può scorrere un’utile carrellata delle strategie traduttive utilizzate in diversi paesi europei, in cui però si fa raramente accenno alle note allografe.

10 Per un approfondimento sulle strategie di traduzione di Menini Pagès rimando a (Caprara 2004). In questo articolo l’autore si sofferma sul valore della suddetta nota riguardo a omertà, deprecando che sia l’unica e sottolineando come le chiose siano un valore aggiunto all‘attività del traduttore, in quanto la giustificazione delle proprie scelte ne evidenzia le competenze e la cultura. Circa la traduzione in castigliano de El perro de terracota, cfr. anche l’approccio contrastivo utilizzato da Trovato (2019), orientato in particolare sulla trasposizione del lessico geografico.

11 La versione originale si riferisce a una serie sedici libri illustrati, Aventuras maravillosas de Pipo y Pipa, creata da Salvador Bartolozzi e pubblicata negli anni Trenta del ‘900.

12 A tal proposito segnalo la dettagliata analisi presente in (Marci 2021).

13 Lo stesso traduttore non ha ritenuto opportuno chiosare nemmeno la recente traduzione de Il re di Girgenti (El rey campesino, 2020), che nella versione originale presenta un tessuto linguistico ricchissimo e variegato che comprende anche uno spagnolo maccheronico; l’intreccio mistilingue, molto indagato dalla critica, risulta piuttosto appiattito sulla lingua castigliana standard. Gentile Vitale offre un’unica delucidazione riguardo alla Nota finale dello stesso Camilleri (Camilleri 2020: 368)

14 Cfr. (Pérez-Reverte 1994); (Pérez-Reverte 1996); (Pérez-Reverte 1997).

15 Ne Il giocatore occulto, la traduzione di El asedio, peraltro Bovaia ne inserisce una decina, circa il significato di nomi di persona o di targhe stradali, sulle unità di misura e su alcune bevande (Pérez-Reverte 2010b).

16 La citazione della pagina si riferisce a Todo Alatriste (Pérez-Reverte 2012), che riunisce l’eptalogia alatristesca in un unico volume.

17 (Pérez-Reverte 2011b: 7): «N.B. La transcription de l’italien en castillan par les auteurs espagnols de l’époque n’étant évidemment pas la même que celle des auteurs français, le traducteur s’est permis dans certains cas de se référer plutôt à ces derniers, comme par exemple Montaigne dans son Journal de voyage en Italie, pour adapter les mots italiens à leur manière de les écrire».

18 Rettorato dell’Università di Málaga, 22 novembre 2018 (il Seminario, a cura di G. Caprara, si è svolto nelle giornate 22-23/11/2018).

19 Ventidue delle trentatré note sono distribuite nel primo quarto di un volume di oltre cinquecento pagine.

20 Delle ventisette note presenti nel testo, circa un quarto è nel solo Capitolo X.

21 Un ampio dizionario di termini specificatamente centroamericani utilizzati nel romanzo è fornito in (Franz, Alonso Marks, Zamora-Lara 2004: 61-63).

22 Gli esempi pasta ‘ncasciata e pulpitos alla carrettera portati da Trovato (2020: 226) compaiono piuttosto spesso nell’opera camilleriana, specie nei romanzi con Montalbano (anche ne El perro de terracota).

23 Per un approfondimento sul ruolo del traduttore, la sua visibilità e la connessione con gli studi etici e sociologici, rimando a Munday (2008), in cui viene evidenziato, oltre il contributo di Venuti, il pensiero di Berman che si oppone alla «homogenization of the translation of literary prose» (Munday 2008: 143).

Entreculturas. Revista de Traducción y Comunicación Intercultural