Le qualità nella teoria umorale e il genere:
dalle origini a Claudio Tolemeo
Nicholas Sperzagni
Universitat de Barcelona
nicholas.sperzagni@studio.unibo.it
https://orcid.org/0009-0006-0725-6035
Recibido: 4 de noviembre de 2024 Aceptado: 22 de septiembre de 2025
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Riassunto La differenza tra maschile e femminile nell’astrologia tolemaica si fonda sulla teoria umorale, la quale alle sue origini viene associata da Anassagora alla cosmogonia, e successivamente viene utilizzata per spiegare biologicamente la differenza tra uomo e donna. I quattro umori sono collegati alle quattro qualità, che si riscontrano in parti differenti in tutti gli organismi, e la cui presenza è fondamentale per la salute dell’individuo. Gli antichi sono concordi nel definire il caldo come una qualità positiva e portatrice di vita, e il freddo come mortifero. Tolemeo definisce tendenzialmente umido il femminile, ma non separa nettamente le qualità tra i due generi. Palabras clave: teoria degli umori, genere, astrologia, Claudio Tolemeo, pianeti. |
Qualities in humoral theory and gender:
from the origins to Claudius Ptolemy
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Abstract The difference between male and female in Ptolemaic astrology is based on the humoral theory, which at the beginning, with Anaxagoras, is associated with cosmogony, and therefore is used to biologically explain the difference between man and woman. The four humors are connected to the four qualities, which are found in different parts in all organisms, but whose presence is fundamental for the health of a man. The ancients agree in defining heat as a positive and life-giving quality, and cold as deadly. Ptolemy defines the feminine as generally humid, but does not clearly separate the qualities between the two genders. Key Words: humoral theory, gender, astrology, Claudius Ptolemy, planets. |
Per comprendere la differenza tra il maschile e il femminile nel mondo greco e poi in Tolemeo, è necessario guardare alla teoria umorale. La teoria degli umori, elaborata a partire dal V sec. a.C. nell’opera di Ippocrate, prevede che il corpo umano contenga quattro fluidi corporei (sangue, flegma, bile gialla, bile nera) che influenzano lo stato di salute e il temperamento di un individuo, come si può osservare nel trattato ippocrateo Sugli umori. Ai quattro umori sono collegate le quattro qualità prime (caldo, freddo, umido, secco), che differenziano le cose sia nel mondo celeste, sia in quello sublunare1. La difformità che interessa in questa sede è quella tra maschile e femminile, che i filosofi, da Ippocrate (cf. infra cap. 1) ad Aristotele (cf. infra cap. 2), hanno tentato di spiegare assegnando una diversa quantità di caldo, freddo, umido e secco a uno o all’altro genere. Allo stesso modo, anche Tolemeo spartisce le qualità tra maschile e femminile, ma, come si vedrà (cf. infra cap. 3), si discosta dai filosofi precedenti.
1. La teoria degli umori: albori e sviluppi
Il primo filosofo a menzionare il caldo, il freddo, l’umido e il secco come qualità legate alla cosmogonia è Anassagora:
«non era distinguibile neppur alcun colore. Era infatti d’ostacolo la mescolanza di tutte le cose, dell’umido e dell’asciutto, del caldo e del freddo, del luminoso e dell’oscuro e di molta terra che vi si trovava, e dei semi illimitati in quantità, in nulla simili l’uno all’altro».
VS 59 B 4 ap. Simpl. in Phys. 35,282
B 12 (ap. Simpl. in Phys. 164,24), in particolare, parla del caldo che si separa dal freddo, il luminoso dall’oscuro e l’asciutto dall’umido, quando il Nous creò tutte le cose.
Il primo testo in cui gli umori sono trattati come elementi primari e come sostanza prima di ogni cosa è Hippocr. Nat. hom. 3,20-23, in cui si legge che quando un uomo muore, tutte le componenti del corpo umano tornano alla loro natura «l’umido all’umido, il secco al secco, il caldo al caldo, il freddo al freddo», e aggiunge che questa è prerogativa sia degli esseri viventi, sia di tutto il resto3. Nel cap. 4, poi, il testo ippocratico descrive il corpo umano come composto di quattro umori (sangue, flegma, bile gialla e bile nera), che nel cap. 7 vengono correlati con le quattro stagioni (ad esempio, il sangue è caldo e umido come la primavera).
In altri testi risalenti al V-IV sec. a.C., le qualità vengono associate agli elementi che compongono tutto: non sono più loro stessi la sostanza di cui è fatta ogni cosa, bensì sono qualità degli elementi stessi. In Hippocr. Carn. 2,1, si trova uno schema elaborato in connessione agli elementi, in cui l’elemento più importante è il caldo («ciò che gli antichi chiamavano etere»), mentre la terra è fredda e secca, l’aria è calda e umida, e l’acqua («ciò che è più vicino alla terra») è l’elemento «più bagnato e più spesso»4. In Hippocr. Vict. I (inizio IV sec. a.C.) è scritto che fuoco e acqua compongono tutti gli esseri viventi, ma «il caldo e il secco appartengono al fuoco, il freddo e l’umido alla terra»5, anche se in altri luoghi del testo si legge che l’umido, in misura minore, appartiene anche al fuoco, e il secco, in misura anch’esso minore, appartiene anche all’acqua (cf. IV 1)6. Empedocle (VS 31 B 21,3-6 ap. Simpl. in Phys. 159,13) connette alcune coppie di opposti (caldo-freddo, luce-buio) con alcune «radici», come il fuoco («Sole»), associato al caldo e alla luce (v. 3), e l’acqua («pioggia»), connessa al freddo e al buio (v. 5), ma mentre Aristotele (Gen. corr. 314b 20-24) asserisce che Empedocle aveva fatto lo stesso anche per aria e terra, Lloyd7 ne dubita con fermezza. L’Anon. Lond. (20,25-42), anch’esso databile al IV sec., attribuisce a Filistione (VS 44 A 28) l’idea che ogni elemento abbia un proprio «potere»: il fuoco il caldo, l’aria il freddo, l’acqua l’umido, la terra il secco. Empedocle, il trattato Sulle carni, Filistione e Aristotele, secondo Lloyd8, stanno in una linea temporale di graduale definizione di una dottrina degli elementi. Nel V sec. e all’inizio del IV sec. a.C., quindi, le qualità (caldo, freddo, umido, secco) erano utilizzate o come elementi di per se stessi (come in Hippocr. Nat. hom. 3,20-23), o in associazione ad altri elementi in testi in cui gli elementi sono considerati sostanza delle altre cose (come nel trattato Sulle carni ippocrateo).
Alla dottrina degli elementi e a quella delle qualità e degli umori si associa una serie di teorie espresse nel Corpus Hippocraticum, in cui viene studiata l’incidenza delle qualità e degli umori sulla salute e sulle malattie9: dai trattati Sui luoghi nell’uomo cap. 42 e Sulle malattie I 1 si comprende che è la giusta mistione degli umori (bile gialla, bile nera, sangue, flegma) a determinare la salute, mentre la sovrabbondanza o la carenza di uno o dell’altro umore porta al morbo (cf. Anon. Lond. 20,25-42, Alcmae. VS 24 B 4 ap. Aët. V 30,1); anche in questi passi, il caldo e l’umido sono associati alla vita e al benessere individuale, il freddo e il secco alla morte. Per la prima volta viene fornita una spiegazione all’insorgenza di malesseri nel corpo umano che non comprende elementi magici e superstiziosi10. Ma la prima apparizione di questa idea è riscontrabile in Anassagora VS 59 B 8 (ap. Simpl. in Phys. 175,11), e il pitagorico Alcmeone aveva già applicato le qualità al corpo umano (VS 24 B 4 ap. Aët. V 30,1), perché poi Ippocrate la trasformasse in una teoria medica, come si riscontra nel trattato ippocrateo Sugli umori: il fuoco corrisponderebbe alla bile gialla (detta anche collera) che si trova nel fegato, la terra alla bile nera che si trova nella milza, l’aria al sangue che ha sede nel cuore, e l’acqua alla flemma che si trova nella testa. Il numero quattro segnala il pitagorismo insito nella teoria umorale, per cui il quattro è fondamento della natura: quattro età della vita, quattro stagioni, quattro momenti della giornata, quattro qualità elementari, quattro elementi o radici11.
Quando Aristotele e i dossografi hanno attribuito una teoria concernente le quattro qualità a un filosofo presocratico, però, lo hanno fatto per riformulare la teoria in questione12. Ad esempio, Metaph. 986b 34 afferma che «Parmenide pone il caldo e il freddo come archai», e poi «le chiama fuoco e terra»13. Anche con Anassimandro la situazione risulta piuttosto complicata14: se Aristotele (Ph. 187a 20) e Simplicio (In Phys. 24,13 = VS 12 A 9) riferiscono di una generale separazione degli opposti nella cosmologia anassimandrea, d’altra parte, U. Hölscher15 spiega che Aristotele e i dossografi altre volte riformulano le teorie presocratiche e parlano solamente di caldo e freddo, e che per caldo e freddo bisogna intendere ciò che si traspone nel concreto, ossia «Feuer und Luft» (p. 260) («fuoco e aria»). Secondo Lloyd16, quindi, Anassimandro separava le sostanze (fuoco e aria in particolare) dalle qualità (caldo e freddo, e altre coppie di opposti). Già nei poemi omerici (cf. Il. VII 99) e in Esiodo (Op. 60s.) venivano presupposti gli elementi in quanto componenti primarie, allo stesso modo in cui venivano presupposte coppie di opposti, quale il maschile e il femminile, oltre che il giorno e la notte, come si nota in tutta la Teogonia17.
I Greci associavano il calore non solo alla vita, ma anche a emozioni positive, quali la gioia e il conforto18, mentre associavano il freddo alla morte, ad emozioni quali la paura e a elementi negativi come la guerra19. G. E. R. Lloyd20 compendia nei poemi omerici ed esiodei le occorrenze dell’umido inteso come qualcosa di vitale, e del secco come una qualità mortifera: «umido mortale» (Od. VI 201) viene utilizzato con l’accezione di «umano vitale» (XIII 187)21. La legna morta è invece descritta come secca (cf. Il. IV 487) allo stesso modo in cui Esiodo descrive parti del corpo morte, come le unghie (Op. 743); anche una persona morta veniva chiamata ἀλίβας (ad esempio, da Plat. Resp. 387c), che significa ‘senza umidità’; i vecchi venivano descritti poi come ‘secchi’22. La connessione dell’umido con la vita e del secco con la morte viene da sé se si pensa alle immagini correlate dagli autori menzionati (ad esempio la secchezza della legna morta, la freddezza di un cadavere) e al clima mediterraneo in cui i Greci vivevano, perché l’estate greca è calda e secca, l’inverno greco freddo e umido. Di conseguenza, il caldo e il secco vennero presto connessi col Sole e dunque con il mondo celeste, e le altre due qualità con la Terra23. Le quattro qualità non avevano un valore positivo o negativo di per sé, ma solo in associazione con i diversi contesti a cui le si applicava, ma mentre il caldo era solitamente positivo e il freddo negativo, il secco e l’umido rimanevano ambivalenti, e dunque acquisivano positività o negatività solo nel contesto24: ad esempio, caldo e secco rimandavano all’estate, al Sole, al mondo celeste, alla vita, mentre freddo e umido all’inverno, al mondo terrestre e alla morte; dunque, il secco potrebbe sembrare positivo e l’umido negativo, ma l’umido rimandava d’altra parte alla vita e il secco alla morte (si vedano i già menzionati Il. IV 487 e Od. VI 201). Per quanto riguarda i filosofi, Parmenide (VS 28 B 12 ap. Simpl. in Phys. 31,3) associava probabilmente il caldo al fuoco e alla luce, e il freddo al buio25, mentre Anassagora (VS 59 B 15 ap. Simpl. in Phys. 179,3), nella sua dottrina degli opposti, separava freddo con umido (associandoli alla terra), e caldo con secco (associandoli all’etere). La connessione tra calore, umidità e vita continuò anche in Anassimandro (VS 12 A 11 ap. Hippol. Haer. I 6,1-7), nei filosofi successivi (cf. Democr. VS 68 B 5.1 ap. Diog. IX 41) e nella medicina ippocratea (cf. Hippoc. Vict. I 32s., Carn. 9).
2. Le qualità e i generi in Aristotele
G. E. R. Lloyd26 osserva che nel pensiero greco antico c’era un certo accordo nell’imputare a una differenza di qualità (caldo, freddo, umido, secco) la difformità tra uomo e donna, anche se non c’era accordo sulle specificità dei due generi. Aristotele attribuisce a Parmenide (Part. an. 648a 25-28 = VS 28 A 52) la visione della femmina come essere più caldo del maschio, la quale si rifletterà successivamente sulla concezione ippocratica (Nat. mul. 1), e poi appunto aristotelica (Gen. an. 765b 8-766b 37), che le mestruazioni siano dovute a un’abbondanza di sangue; ma mentre per il testo ippocratico il sangue era caldo e dunque le mestruazioni erano una prova concreta del maggior calore insito nel corpo femminile, per Aristotele le mestruazioni sono dovute alla mancanza di calore della donna, che non riesce a scaldare il sangue per farlo diventare seme, e che quindi è costretta a espellerlo. Aristotele assegna già a Empedocle (Gen. an. 723a 23 = VS 31 B 65) la visione che gli uomini siano più caldi delle donne, senza alcuna prova empirica a sostegno, ma assegnando il calore alla positività e dunque all’uomo. In Hippocr. Vict. I 34, l’autore conferisce maggior calore e secchezza all’uomo (come il fuoco) a causa del proprio stile di vita (cibo ed esercizio fisico), mentre le donne espellono il proprio calore mensilmente con le mestruazioni (come l’acqua), assegnando implicitamente la positività allo stile di vita sano maschile, mentre la negatività all’acqua, al freddo e al femminile27.
Aristotele si accoda alla dottrina del trattato ippocrateo Sul regime, e in Gen. an. 765b 8-766b 37 distingue uomo e donna in base alla loro abilità a cuocere il sangue: il sangue diventa sperma nell’uomo, mestruazioni nella donna; lo Stagirita (Part. an. 648a 28-35) accusa chi aveva considerato le mestruazioni come un segno del maggior calore femminile, mentre sono per lui la versione impura del sangue trasformato in sperma nell’uomo. Le donne, infatti, dovrebbero essere calde e umide in quanto vive, ma si raffreddano e si seccano tramite la perdita di sangue mestruale. Il sangue mestruale è un seme, come è seme anche lo sperma, con la differenza che lo sperma è più elaborato, e il sangue mestruale ha bisogno di un’elaborazione maschile. Quando l’essere umano espelle cibo dal corpo, mantiene nell’organismo un residuo che si trasforma in sangue tramite il calore tipico maschile, e questo sangue è lo sperma. La donna, essendo fredda, non riesce a trasformare il cibo in sangue perfetto e puro come lo sperma, e lo muta in un sangue ‘da elaborare’, il sangue mestruale, che solo nella riproduzione verrà cotto tramite il seme maschile, trasformandolo in nuova vita. Il latte materno risulta un altro modo di arrivare a quella forma rarefatta ed epurata che è lo sperma, ma è sempre un tentativo non riuscito a causa della mancanza di calore28. Lo sperma ha un ruolo attivo, mentre il sangue mestruale un ruolo passivo29: la donna è indispensabile, ma solo come donna-materia, come contenitore, quindi come passività, mentre l’uomo è forma e spirito, attivo e creativo30. Questa visione aristotelica deriva dall’idea che la donna sia un essere inferiore, un maschio depotenziato31, e allo stesso momento corrobora l’idea stessa. Inoltre, la donna, essendo meno calda dell’uomo, arriva più lentamente a formarsi nell’utero materno e invecchia più rapidamente, perché «tutti gli esseri inferiori giungono infatti alla fine più rapidamente, come avviene sia nelle opere dell’arte sia nelle cose messe insieme dalla natura» (Gen. an. 775a 16)32. È credenza aristotelica che la parte destra del corpo sia più calda e positiva della sinistra: il cuore è a sinistra perché bisogna compensare la freddezza di questo lato con l’organo fonte di calore, ma la donna, per sua physis, è fredda, e quindi è inferiore (cf. Gen. an. 765b 1s.). In Aristotele, dunque, gli opposti destro-sinistro sono anch’essi correlati rispettivamente al maschio e alla femmina.
Tuttavia, in Gen. an. 765a 16, lo Stagirita rifiuta la visione secondo la quale il sesso del nascituro è determinato dalla posizione nel grembo materno (ossia se è posizionato sul lato destro, nascerà maschio, se sul sinistro, femmina). Il sesso del nascituro, per Ippocrate (Genit. 6s.), era determinato dal rapporto di forza tra i due semi, quello maschile e quello femminile, concorrenziali per la nascita di un individuo: se si incontrano due semi forti nasce un maschio, se due semi deboli, nasce una femmina (la forza sembra qui associata quindi alla maschilità e la debolezza alla femminilità); se un seme debole si incontra con un seme forte, l’esito dipende dal seme quantitativamente più abbondante: se è maggiore quello maschile, ed è anche più forte, nascerà maschio, ma poco virile; se è maggiore quello maschile, ma esso è debole, nascerà una femmina poco femminile; se invece è più abbondante il seme femminile, ed è anche il più forte, nascerà un maschio effeminato; se è più abbondante quello femminile, ma esso è debole, nascerà una femmina poco femminile33. A qualcosa di simile era approdato il più o meno contemporaneo Democrito (nasce nel 470 a.C. circa)34: se è più forte il seme paterno, nasce un maschio, se è più forte il seme materno, nasce una femmina. Parmenide (VS 28 A 54 ap. Aët. V 11,2) ed Empedocle (VS 31 A 81 ap. Arist. Gen. an. 764a 1) erano invece di un’altra opinione: se il feto si trova a destra nell’utero, cioè nella parte più fredda, nasce maschio, se nella parte sinistra quindi più calda, femmina (mentre per Arist. Gen. an. 765b 1s., la parte destra è più calda, quella sinistra più fredda); così, anche Anassagora (VS 59 A 107 ap. Arist. Gen. an. 763b 30) e l’autore ippocratico degli Aforismi (V 48)35. Riguardo all’esistenza di un seme femminile, come Eschilo in Eu. 658-66136, in cui Apollo nega alle donne qualunque merito nel concepimento di un feto37, anche Aristotele (Gen. an. 722b 6s., 764b 15s.) dà il merito della filiazione solamente al maschio, e così, secondo N. L. Loraux38 faranno tutti i Greci dopo di lui. I testi ippocratici saranno gli unici a tener conto del maschile e del femminile insieme39.
M. Detienne (1977) fa altresì notare come al mito e agli umori si unisca la classificazione delle erbe per rinvigorire la tesi della subalternità delle donne nell’antica Grecia: la lattuga, verdura fredda e umida, è consumata prevalentemente dalle donne, perché è eccellente per le mestruazioni e per una buona circolazione del sangue. Un effetto collaterale della lattuga è però l’alterazione del piacere, e gli uomini non la mangiano mai per paura di impotenza e di privazione del desiderio e del piacere, poiché in passato essa ha reso impotente Adone. Gli uomini devono starne alla larga, mentre le donne possono privarsi benissimo di un po’ di godimento, dato che, per gli antichi, hanno un piacere di gran lunga maggiore rispetto a quello degli uomini40, e devono controllare l’impurità del sangue mestruale.
Aristotele si inserisce in una visione del mondo come composto di distinzioni binarie, tra maschile e femminile, destra e sinistra, etc., che inizia con i primi filosofi (e.g. Heraclit. VS 22 B 10 ap. [Arist.] Mund. 396 b 7) e arriva fino a Tolemeo (cf. infra cap. 3). La fisica aristotelica è ciò su cui si basa l’astronomia tolemaica41, Aristotele fornisce una base giustificativa all’astrologia: «è giusto che tutti questi tempi, delle gravidanze, delle nascite e delle vite, tendano ad essere misurati secondo periodi naturali. Con periodi naturali intendo dire dì e notte, mese e anno e i tempi con questi misurati» (Gen. an. 777b 20-23)42. Il cielo «omniabbracciante»43 è una mescolanza delle quattro qualità prime (calore, freddezza, umidità e secchezza), che si alternano in quantità in base ai periodi naturali e ai moti delle stelle. Similmente in Tolemeo, i pianeti apportano alle cose terrene calore, secchezza, freddezza, umidità, e danno vita a piante e animali: dalla disposizione del cielo si comprende la disposizione delle qualità dei singoli corpi, perché le determinate disposizioni dei pianeti si accordano con i determinati temperamenti44. Aristotele (in Cael. 269b-270b) spiega che il movimento circolare è proprio dei corpi celesti, quello rettilineo è dei corpi sublunari, e quindi i primi si muovono verso l’alto, i secondi verso il basso; il corpo più leggero è il fuoco, quello più pesante è la terra, intermedi sono aria e acqua. Le quattro qualità saranno poi spartite da Galeno (Nat. fac. 1,3 e 6) nei quattro elementi nel modo seguente: il fuoco è caldo e secco, l’aria calda e umida, la terra fredda e secca, l’acqua fredda e umida. Tutti i corpi terreni sono composti di una mescolanza dei quattro elementi in diverse proporzioni e quantità: se, ad esempio, domina l’elemento del fuoco, il temperamento è caldo e secco. Il calore o la freddezza non devono essere per forza calore o freddezza in atto, bensì in potenza, come lo zolfo che è freddo in atto ma è caldo in potenza perché è una virtù preesistente alla causa45. Le qualità, poi, traggono influsso dagli astri, non traggono origine dagli elementi, perché anche gli elementi subiscono l’influsso degli astri46: se calore e umidità allungano la vita47, non sono innati nei viventi, ma derivano dagli astri, perché sono gli astri a influenzare la lunghezza della vita48.
«L’uomo più di ogni altro animale ha le parti inferiori e superiori ben distinte in armonia con i luoghi naturali: le prime e le seconde sono infatti in corrispondenza con l’alto e il basso dell’universo. Allo stesso modo, anche il davanti e il dietro, la destra e la sinistra sono disposti secondo natura».
(Hist. an. 494a 2649)
Si arriva dunque anche in Aristotele ad una riflessione cosmologica sulle due forze contrapposte. Se la tridimensionalità degli oggetti inanimati è solo uno specchio dell’osservatore50, il cielo, che ha un principio di movimento, ha un orientamento proprio, indipendente dall’osservatore51. In ogni corpo, la destra è la parte in cui inizia il movimento nello spazio, come la destra del cielo è l’oriente, il punto da cui inizia il moto degli astri, se esso ha un inizio52. Essendo poi l’ovest il luogo del tramonto, ne deriva che «le parti di sinistra sono nell’uomo più fredde che in qualsiasi altro animale» (Part. an. 666b 8)53: Aristotele preconizza qui un’identità tra i corpi celesti e i corpi umani, senza parlare di astrologia. Sono femminili il basso e il dietro54, come la parte sinistra del corpo, perché più statica e più debole55. Anche Parmenide (VS 28 A 54 ap. Aët V 11,2) ed Empedocle (VS 31 A 81 ap. Arist. Gen. an. 764a 1) collegavano la sinistra con la donna, perché credevano che le femmine nascessero dalla parte sinistra; ma se questa veniva da loro classificata come la parte più calda, per Aristotele (Part. an. 648a 11-14), invece, la donna pecca di calore, quindi la parte sinistra è quella più fredda, dove risiede il cuore perché esso la riscaldi.
La compiutezza e l’autosufficienza hanno invece come referente fisico causale il caldo, allo stesso modo per cui la forma, che si identifica come la prima causa motrice, è compiuta e autosufficiente, e corrisponde al maschio, mentre la materia è la femmina56: si trova qui il binarismo materia-forma, in cui la materia è la donna e l’uomo è la forma57. «E sono più compiuti gli animali di natura più calda e più fluida e non terrosa» (Gen. an. 732b 28)58: la compiutezza, la maschilità, è calda e fluida; per terroso si intende ciò che non è cotto nel corpo di una persona e non è reso seme, e si può trovare una corrispondenza con la terra tolemaica, un elemento femminile.
In Gen. corr. 329b 18-35, Aristotele spiega che cosa si intende esattamente per caldo, freddo, umido e secco: «caldo» è «ciò che combina cose dello stesso tipo»; «freddo» è «ciò che mette insieme e combina allo stesso modo cose omogenee ed eterogenee»; «umido» è «ciò che, facilmente delimitato, non è determinato da nessun confine»; «secco» è infine «ciò che, non facilmente delimitato, è determinato dal suo stesso confine». Umido e secco sono una coppia antinomica passiva perché ha estensione ed è materiale; caldo e freddo sono una coppia antinomica attiva perché ha intensità e non è materiale59. L’astrattezza di queste definizioni non lascia però spazio a giudizi di sorta sulla positività e negatività delle qualità, mentre in altri contesti, come l’assegnazione delle qualità ai generi, sembra esserci una divisione netta tra polo positivo e negativo, soprattutto per quanto riguarda l’opposizione caldo-freddo60. Un’assegnazione di virtù o difetto alle temperature si nota anche in Part. an. 647b 29-35, dove il sangue caldo e spesso è connesso alla forza, il sangue freddo e sottile alla sensitività e all’intelligenza61; poco più avanti (648a 5-8), Aristotele suggerisce che questa visione derivi dal fatto che alcuni animali senza sangue, come le api, siano più intelligenti di animali più caldi. Coraggio e intelligenza – spiega – sono in effetti propri di esseri il cui sangue è sia caldo, sia magro, sia limpido (quindi più puro), e quindi assegna purezza alle parti alte e alla parte destra del corpo, impurità alle parti basse e alla parte sinistra, rispettivamente correlate al maschio e alla femmina (648a 11-13). La parte attorno al cuore e ai polmoni è più calda e più ricca nell’uomo rispetto ad ogni altro animale, e più nell’uomo che nella donna (cf. 653a 27-31). Come si vedrà (cf. infra cap. 3), il calore maschile, associato alla positività, alla luce, al giorno, al Sole, all’est, alla destra, al numero dispari, si tradurrà nella perfezione del mondo celeste62.
In generale, sembra che anche in Aristotele (e.g. Cael. 286a 25s., Gen. corr. 318b 16s.), come negli autori precedenti (cf. supra cap. 1) il caldo sia positivo e il freddo negativo, ma non si è certi della valenza di secco e umido. In Part. an. 670b 20, la parte inferiore sinistra del corpo è detta «fredda e umida»63, ed è legata al femminile; in Gen. an. 766b 31 si dice che i genitori che hanno una costituzione «più umida e più femminile»64 tendono a produrre figlie femmine: da entrambi questi testi si comprende che l’umido è legato alla donna, quindi al polo negativo. Quando Aristotele in Gen. an. 732b 28 classifica le specie animali, invece, sembra assegnare a una combinazione di calore e umidità la perfezione assoluta65, ma questa valenza positiva dell’umidità potrebbe essere legata alla presenza del calore. In Gen. an. 733a 31 si legge che l’umidità è vitale, mentre la secchezza è la cosa più estranea all’essere animato insieme al fuoco, nel quale solo le salamandre prodigiosamente sopravvivono (737a 1). I maschi vengono identificati con gli astri, perché vengono identificati con il primo motore immobile, per analogia:
«nel seme di tutti gli animali è presente ciò che rende fecondi i semi: ciò che è chiamato caldo. Questo però non è fuoco né una facoltà simile al fuoco, ma il pneuma racchiuso nel seme e nella schiuma, e la natura contenuta nel pneuma che è analoga all’elemento di cui sono costituiti gli astri».
(Gen. an. 736b 33-35)66
Il cielo, luogo degli astri, sta al padre come la terra sta alla madre; la terra è acquosa, il cielo è infuocato dalla luce delle stelle67. Lo sperma, dopo aver donato la vita lui solo, si volatilizza (πνευματοῦται, Gen. an. 737a 11). Sperma e sangue mestruale sembrano essere, in Aristotele, specificazioni simmetriche, ma diverse, di un’unica umidità vitale68; uno però è caldo (positivo), l’altro freddo (negativo).
«Talete, iniziatore di tale tipo d’indagine filosofica, sostiene che principio è l’acqua (perciò egli asseriva che anche la terra galleggia sull’acqua), e forse questa sua opinione gli fu suggerita dall’osservazione che è umido ciò di cui ogni cosa si alimenta e anche il caldo nasce dall’umidità e sopravvive per mezzo di essa (del resto, è principio di tutte le cose ciò da cui queste traggono origine), né soltanto in base a ciò egli ha concepito tale teoria, ma anche in base al fatto che hanno natura umida i semi di tutte le cose, e l’acqua è appunto il principio naturale delle cose umide».
(Arist. Metaph. 983b 6)69
Ciò che colpisce di questa citazione è quanto siano aristoteliche le teorie messe in bocca a Talete70: tramite il primo filosofo, la Metafisica giustifica la propria visione dell’umidità come acqua calda non secca; è un’umidità che porta vita perché è unita al caldo (l’umidità da sola è neutrale). Il filosofo di Stagira conosce bene non solo le teorie di Talete, ma anche i quattro elementi di Anassimene, e li fa propri. Le quattro radici sono correlate e necessarie tra loro: «Gli animali e le piante si producono nella terra e nell’acqua, perché nella terra è presente l’acqua, nell’acqua il pneuma, e in tutto questo dappertutto c’è calore animante (θερμότητα ψυχικήν); di conseguenza tutte le cose sono in certo modo piene di anima» (Gen. an. 762a 18)71.
Pertanto, secco e umido, come nei filosofi presocratici, anche in Aristotele sono ambivalenti e acquisiscono una valenza positiva o negativa in base al contesto, ma tendenzialmente l’umidità è vitale perché l’acqua è vitale, nonostante sia femminile, allo stesso modo della materia che è necessaria alla forma, anche se femminile e negativa. A differenza dei filosofi presocratici, però, Aristotele è certo che l’uomo sia più caldo della donna, e quindi la donna sia più fredda. F. Héritier-Augé72 asserisce che, per i Greci in generale, l’uomo è caldo e secco, mentre la donna è fredda e umida. Per quanto riguarda Aristotele, però, questo è vero solo nella divisione calore-freddezza, mentre la secchezza e l’umidità non rientrano strettamente in una categorizzazione di positività o di negatività, di maschilità o di femminilità. Per Tolemeo, addirittura, i pianeti sono spartiti in maniera diversa e peculiare anche per caldo e freddo, oltre che per secco e umido.
3. Tolemeo e le qualità
Tolemeo utilizza la teoria delle qualità concepita da Ippocrate (cf. supra cap. 1) e da Aristotele (cf. supra cap. 2) per spiegare le influenze degli astri sulla Terra73. La filosofia greca dai tempi più antichi aveva l’idea che gli esseri umani fossero microcosmi che riflettono i macrocosmi, perché fatti della stessa materia dell’universo, e ordinati come il cosmo stesso74. C’è una correlazione di stelle e pianeti con parti dell’essere umano: ad esempio, una malattia associata con il pianeta Marte, associato con il fuoco o con il caldo e secco, può essere curato con un antidoto a ciò che è Marte, cioè il freddo e l’umido75. La quantità di caldo, secco, umido e freddo stabilisce la natura delle cose, ma le cause naturali sono molteplici76. Tolemeo, insieme a Galeno, è l’unico autore di età imperiale a rifiutare l’elemento fantastico e religioso nello studio dei fenomeni naturali77.
Il genio di Tolemeo si nota già all’inizio della Tetrabiblos:
«è a tutti evidente, senza particolari dimostrazioni, che una certa forza si diffonde e si propaga dalla sostanza aeriforme ed eterna sull’intera superficie terrestre che è in tutto e per tutto soggetta a cambiamenti: i primi elementi sublunari, infatti, il fuoco e l’aria, sono compresi nell’etere e vengono modificati dal suo movimento, mentre a loro volta comprendono e modificano tutti gli altri elementi: la terra, l’acqua, le piante e gli animali».
(I 2,1)78
Tolemeo non inventa gli elementi, ma li traspone nel campo dell’astrologia79: l’energia di fuoco e aria (che governano i segni zodiacali maschili, quindi attivi) muovono (quindi dominano) tutto il resto (la terra e l’acqua, che governano i segni zodiacali femminili, quindi passivi). Egli prende in prestito da Platone la teoria della materia per farne i quattro elementi della sua fisica astrologica80, e si serve delle nozioni di natura calda, fredda, umida e secca (cf. supra cap. 1s.) per spartirle nelle nozioni che gli sono proprie, quelle astrologiche.
Dai commenti non solo si comprende meglio il pensiero tolemaico, ma si capisce soprattutto ciò che Tolemeo eredita dagli autori precedenti: i testi medievali (e.g. Tit. Phys. 65) comparano la credenza tolemaica dell’onnipresenza dei quattro elementi (fuoco, terra, aria, acqua; cf. Tetr. I 2,1) alla credenza aristotelica per cui le quattro radici sono presenti in ogni corpo composto81. Gli enti sublunari sono composti dei quattro elementi mescolati l’uno all’altro secondo differenti quantità e proporzioni82, su scia aristotelica83. Sempre in conformità con la dottrina dello Stagirita84, in Tolemeo, il caldo, il freddo, il secco e l’umido dei corpi terreni non derivano dagli elementi, ma dagli astri, come si nota da Tetr. I 485. Le quattro qualità prime sono comuni al cielo e ai quattro elementi, anche se in modi distinti (negli astri, non formaliter ma effective) e in tempi distinti (cioè secondo il prima e il dopo; cf. D’Ab. 16rb). Tit. Phys. 65 aggiunge che le qualità dei composti non derivano dagli elementi, ma dalle qualità celesti, che originano dalla luce dei cieli. All’inizio di Tetr. I 2,1, infatti, Tolemeo inserisce un tratto di originalità, un quinto elemento (τις δύναμις), che Bezza86 indica come «luce». La luce, che permane in tutta l’opera tolemaica come ratio che fornisce un senso al mondo e rende effettive le influenze dei corpi celesti87, potrebbe essere un altro modo di descrivere l’etere aristotelico88, ossia ciò di cui sono composti gli astri89. La sostanza degli astri è il calore, come ogni vita nasce dal calore: il calore proviene dal fuoco che crea e plasma gli astri come plasma le vite90. Gli astri sono fatti di luce, e ogni calore ha una proprietà diversa, come il calore di Giove è diverso da quello di Saturno91. In Judic. 19,23, inoltre, Tolemeo segue il pensiero aristotelico per cui l’anima partecipa di tutti gli elementi92: se l’acqua e la terra (elementi femminili in astrologia) non sono propri dell’anima ma del corpo, diventano anche elementi dell’anima perché anche l’anima ha una parte sensitiva e quindi corporea. Il fuoco e l’aria, che non a caso sono maschili, insieme all’etere («luce» o «quinta essentia», come viene chiamata da G. Bezza (1990, 40s.), sono più simili all’anima, e Tolemeo sembra far proprio il precetto di Zenone93 per cui l’anima è un pneuma caldo94.
«Il caldo e il secco, cioè il massimo di luce, si denominerà fuoco; il caldo-umido, in cui è minor luce, in cui la luce è come più ristretta su se stessa, sacrificata in ragione dell’umidità, sarà a dirsi aria; il freddo secco, in cui ancor più si attenua e restringe la luce, si chiamerà terra, e infine il freddo umido o luce quasi estinta, acqua».
scrive E. Zolla95 a proposito di Arist. Mete. 340b15. Per quanto riguarda Tolemeo, però, G. Bezza96 asserisce che per loro natura gli elementi sono privi di calore e luce, mentre le stelle sono calde e aiutano gli elementi a mescolarsi, in particolare il Sole, di modo che, quando esso è allo zenith, fuoco e aria si accrescono, in quanto elementi superiori, mentre acqua e terra scemano, in quanto inferiori; il contrario avviene quando il Sole recede. Quindi, la stella di Saturno non raffredda i corpi sublunari a causa della posizione rispetto al Sole, ma a causa della sua natura diversa rispetto a quella del Sole, che è calorifico. Allo stesso modo, esso è distante anche dalla Luna (per natura, non per posizione)97, che attrae gli umori, come spiega Haly. 11ra e 11vb-12ra.
Cardano (Comm. 126a), Nabod (E. 238), Magini (Isag. 3v) e Villa (II 1) argomentano che la Luna è benefica a causa del calore che le deriva dal Sole, ma che ha virtù compiutamente benefica solo quando cresce di luce, mentre quando scema di luce è imperfetta. Abenr. 3rb, a questo proposito, afferma che la Luna sta al Sole come il ministro al re, e per questo il re magnifica il proprio ministro finché la Luna si fa piena, per poi iniziare a deprimerlo e a sminuirne la potenza. Il Sole e la Luna hanno effetti particolari, più potenti rispetto agli altri pianeti: il primo porta soprattutto calore, la seconda umidità; di conseguenza, un’assenza o lontananza di questi due luminari porta privazione delle rispettive qualità98. Come si vedrà più avanti (cf. infra), l’intensità è prevalente nel Sole e porta caldo, mentre la dilatazione è prevalente nella Luna e porta umidità99: secondo Tit. Phys. I 12,76, queste sono le cause attraverso cui ogni cosa diventa sensibile, quindi producono le qualità dell’animo, delle azioni, di ogni cosa: ogni bene e male, la forma del corpo, la salute, la morte e anche la distinzione del sesso. La Luna ha azione calorica solo per la luce che le deriva dal Sole, cioè quando cresce di luce, mentre non è calorica quando la sua luce scema; di per sé, la sua maggior virtù è umidificante100. Il calore che emana è debole, e per questo è putrefacente. Plutarco (Fac. orb. lun. 928c) chiama la Luna organo digerente del cosmo: l’umidità negli astri ha un rapporto con il processo digestivo se partecipano di un calore riflesso101.
A propria volta, il temperamento degli astri ha principio nel Sole, che produce le qualità prime in concomitanza con le quattro stagioni dell’anno102: esso proietta la propria luce sugli altri pianeti ed essi operano, in base alle qualità intrinseche a ciascuno, cioè in base al temperamento. Tetr. I 5,1 stabilisce una distinzione tra i pianeti benefici e malefici, e dunque G. Bezza103 si chiede giustamente da che cosa derivi questa classificazione ‘morale’. Una simile ripartizione non pertiene alle basi teoriche dell’astrologia classica104 e ha ricevuto critiche prima da Plotino (II 9,51s.) e poi da Agostino (Conf. II 10,1): Tolemeo vede negli astri esseri divini e non soggetti alle passioni terrene, allo stesso modo di Platone e Aristotele105. Ristori (51r) spiega infatti che gli astri hanno due potestates: la prima li rende tutti caldi e attivi, mentre la seconda deriva dalla prima e fa sì che producano temperie (rendendoli, dunque, benefici) o intemperie (rendendoli malefici). Quindi, il bene e il male da loro prodotto non derivano dalla natura dei pianeti, ma dall’azione derivante dalle loro proprietà106, in base a come operano sui quattro elementi107: malevola non è la loro essenza (aristotelicamente, la loro potenza), ma la loro azione (il loro atto), perché gli astri sono esseri divini che non subiscono passioni108, bensì agiscono solamente. Per questo, Vettio Valente aveva scritto: «gli astri malefici sono stati così chiamati perché diminuiscono la vita, ma in ogni altra cosa operano il bene» (IV 13s.)109. Giuliano di Laodicea aggiunge: «vediamo i febbricitanti subire danno dal calore del Sole che tutto vivifica e ciò avviene per la debolezza loro» (CCAG IV 105,16s.)110, perché tutte le stelle sono benefiche di per sé.
Tolemeo in Tetr. I 5,1, per discernere tra pianeti benefici e malefici, distingue gli astri nei quattro umori: caldo e umido sono fecondi (γόνιμα) e attivi (ποιητικά), perché da essi tutto si aggrega e trae crescita, mentre secco e freddo sono distruttivi (φθαρτικά) e passivi (παθητικά) perché disgregano e stroncano ogni cosa. Gli astri in cui prevalgono gli umori fecondi e vitali (caldo e umido) sono benefici111: per questo, già i παλαιοί avevano classificato Giove, Venere e la Luna come pianeti benefici, a causa della loro costituzione prevalentemente calda e umida, e della loro azione temperata112. D’altra parte, gli astri in cui prevalgono il secco e il freddo (umori «distruttivi e passivi»: Tetr. I 5,1)113 hanno virtù malevola: per questo, gli stessi παλαιοί avevano classificato come malefici Saturno perché molto freddo e Marte perché eccessivamente secco114. Saturno è freddo per natura, per la sua grande distanza dal Sole (ancora non erano stati scoperti i pianeti più lontani), ed è anche meno lucente115, quindi il temperamento umano lo percepisce come raffreddante. Card. Subt. 34, invece, argomenta che Saturno è freddo solo in comparazione, perché impedisce la nascita di esseri viventi a causa della sua bassa temperatura, come l’acqua tiepida che raffredda quella bollente, e quindi Saturno, più che Giove, aiuta i seminati perché i semi hanno bisogno di un calore modesto. Infine, Sole e Mercurio sono pianeti neutri (Mercurio è anche ermafrodita), ossia aumentano le caratteristiche del pianeta a cui si avvicinano116: essi partecipano di entrambe le virtù117 poiché sono mediani118.
Per comprendere il temperamento, connesso con la virtù (malefica o benefica) e con il genere (maschile o femminile) dei pianeti, è utile fare riferimento allo schema seguente, composto da G. Bezza119 secondo le indicazioni contenute nelle opere di Cardano:
Si può notare che, se in Aristotele (cf. supra cap. 2) c’è una stretta associazione del caldo con il maschile, in Tolemeo, invece, non c’è una corrispondenza biunivoca tra calore e maschilità, poiché Saturno è freddo ma è maschile, mentre Venere è calda, ma è femminile, e la Luna, se è crescente, è calda, ma è femminile. Non c’è, inoltre, una corrispondenza biunivoca tra virtù benevola e maschilità, poiché, ad esempio, Saturno e Marte sono entrambi malevoli e maschili. Come spiegato da Tolemeo in Tetr. I 5, però, due qualità sono benevole, il calore e l’umidità, mentre le altre due sono malevole, il freddo e la secchezza: non c’è corrispondenza tra virtù benefica e maschile, e tra virtù malefica e femminile, bensì c’è una correlazione tra qualità e virtù, in conformità col principio per cui gli astri non sono benevoli o malevoli di per sé (la prima potestas di cui parla Rist. 51r), ma in relazione ad altri astri (la seconda potestas: cf. supra). Le qualità non sono spartite geometricamente nei generi: «i generi fondamentali della natura sono due: maschile e femminile; decisamente femminile è l’azione della sostanza umida, che è una componente in netta prevalenza nelle femmine, mentre gli altri umori sono preponderanti nei maschi. Perciò la Luna e Venere, in cui domina la sostanza umida, sono considerati pianeti femminili, il Sole, Saturno, Giove e Marte pianeti maschili, mentre Mercurio partecipa ad entrambi i generi, in quanto produce parimenti umido e secco» (Tetr. I 6,1)120.
Non c’è quindi correlazione tra femminile e virtù malefica, perché l’umido, unica qualità prevalente nelle donne, è benevolo121; nonostante, però, l’unica qualità tipicamente femminile sia l’umidità, Giove è caldo e umido, pur essendo maschile. Più in generale, non c’è correlazione tra qualità, virtù (benevola o malevola) e genere. La quantità di umidità in un astro è riconoscibile tramite la sua luminosità, soprattutto per quanto riguarda i due luminari: nella luminosità del Sole predomina l’intensità, che è una qualità attiva e produce il calore, il cui contrario è il freddo, mentre la luminosità della Luna è imputabile all’estensione, una qualità passiva che produce l’umido, il cui contrario è il secco122. Che l’umidità sia connotata positivamente è ravvisabile anche in Tetr. I 10,1, dove la primavera, stagione positiva, è umida123. In Tetr. I 10,2, Tolemeo compara le stagioni alle fasi della vita in base agli umori, come avevano fatto gli ἀρχαῖοι prima di lui: la primavera è umida come l’infanzia, l’estate calda come la giovinezza che va verso la maturità, l’autunno secco come la maturità avanzata, l’inverno freddo come la vecchiaia che si avvicina alla morte. Solo il freddo è connesso direttamente alla negatività e alla morte, come in Aristotele e, più in generale, nella mentalità greca (cf. supra cap. 1)124.
Le qualità sono quindi aristotelicamente tutte parimenti presenti in ogni corpo celeste e in ogni corpo sublunare125, in conformità anche con la visione ippocratica che un equilibrio tra i quattro umori è necessario per la salute di un individuo126. Tuttavia, è per il solo Tolemeo che l’umidità è prevalente (non ‘esclusiva’) nella donna, e così si spiega perché anche Giove può essere umido. Si è visto (cf. supra cap. 2) che in Aristotele si nota talvolta un’associazione tra femminilità e umidità – per esempio, quando in Part. an. 670b 20 parla della parte inferiore sinistra del corpo, femminile e umida – mentre in altri contesti l’umidità è legata alla perfezione, come in Gen. an. 733a 31. In Tolemeo, invece, si parla di prevalenza dell’umidità nella donna, e, come talvolta in Aristotele127, nonostante questo, non la si connota negativamente. Gli astri tolemaici non seguono nemmeno la dottrina aristotelica secondo cui il maschio è caldo e la femmina è fredda (cf. supra cap. 2). Infatti, l’asserzione contenuta in Tetr. I 7,1 parla di tendenze, non di una regola generale: «i più evidenti spazi del tempo sono due, il giorno e la notte: il giorno con caratteri più maschili, perché caldo e attivo, la notte con caratteri femminili, perché umida e riposante»128. Il caldo è associato qui al maschile, ma Saturno è freddo e la Luna è calda. Cardano (Comm. 127a) osserva che nei pianeti maschili prevale il calore sull’umido, e per questo può maturare il seme, secondo la teoria aristotelica per cui il maschio riesce a scaldare il proprio sangue a tal punto da renderlo seme129. Tuttavia, il calore non è il solo umore che aiuta la fecondazione130: il Sole e Marte sono caldi e secchi, Giove caldo asciuga l’umido, ma Saturno è freddo, e poiché il freddo condensa l’umido, gli Arabi131 videro in Saturno un eunuco, a differenza dell’ermafrodita Mercurio che, nonostante partecipi di entrambi i generi, veniva considerato solamente o maschile132, o femminile133.
In Aristotele il cielo è perfetto e la Terra è tutto ciò che è imperfetto134: Οὐρανός è termine maschile corrispondente a un dio maschio, mentre Γῆ è un termine femminile corrispondente a una dea donna. «Anche nell’universo pertanto si è soliti considerare la natura della terra come femmina e madre, mentre ci si rivolge al cielo, al sole e a tutte le altre cose siffatte come a generatori e padri» (Gen. an. 716a 17-20)135: in quanto principi (ἀρχαί), «il maschio è portatore del principio del mutamento e della generazione, la femmina di quello della materia» (716a 6s.)136. Secondo Niph. Apot. 11ra, Tolemeo, invece, segue un criterio diverso per assegnare maschilità e femminilità: non più la contrapposizione tra calore, luce, cielo (maschile), contro freddo, tenebre, Terra (femminile), perché il maschile e il femminile non sono più principî (ἀρχαί), bensì generi (γένη), dalla radice *gen /*gon /*gn̥ che indica la nascita, il procedere da un principio, l’avere origine dal cielo e il nascere in terra137. Il Sole e la Luna sono come capi dei due generi, non perché portatori dell’opposizione caldo-freddo, ma perché generano qualità vitali come calore e umidità138. È dal temperamento che deriva la distinzione tra i generi: sbaglia chi pensa, dice Ristori (48v, 51v), che siano maschili le stelle che portano caldo e freddo, femminili quelle che disseccano o umidificano. In realtà, ribadisce Haly. 13rb, nelle stelle prevale l’elemento femminile se prevale la sostanza umida, e di conseguenza esse umidificano: sono femminili la Luna e Venere, perché hanno umidità in misura maggiore (tra i filosofi greci, che la Luna sia umida si concorda da più parti)139; ma, per l’appunto, si è visto che Giove è considerato umido (cf. supra). In generale, ci si focalizza sull’effetto che hanno le qualità dei pianeti, non tanto sulle qualità stesse: gli esseri viventi sono masculati et foeminati, cioè sono gli effetti, mentre gli astri sono masculantes et foeminantes, cioè le cause140. Tuttavia, pur non sussistendo una netta contrapposizione tra umori maschili e femminili, soprattutto per quanto riguarda umido e secco, poiché quando si parla di umori si parla di tendenze, e pur non essendoci associazione tra umori, genere e virtù (benevola-malevola), l’opposizione binaria tra maschile e femminile, caldo e freddo, luce e tenebre, etc., esiste anche in Tolemeo.
4. Conclusioni
Si è detto141 che il mito e la scienza legittimano l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, dove la scienza, però, non include solamente la geometria celeste, la matematica e l’aritmologia, bensì anche, e soprattutto, la biologia, e quindi le qualità. Anche la biologia è legittimata da un retroterra filosofico di più di sette secoli: a partire da Anassagora (cf. supra cap. 1), essa viene spiegata da Ippocrate e da Aristotele (cf. supra cap. 2); quest’ultimo è l’autore più velatamente presente nella filosofia tolemaica142. La connessione tra teoria degli umori (medicina) e scienza degli astri (nell’antichità non c’è una divisione tra astronomia e astrologia)143 è tipicamente greca, ed era già di Ippocrate144, ma trova riscontri anche nell’astrologia babilonese145.
In secondo luogo, il presente articolo sostiene e riconferma le radici principalmente aristoteliche di Tolemeo, poiché egli mostra una conoscenza approfondita del dibattito sulla teoria degli umori dalle origini, anassagoree e ippocratee, allo Stagirita (sebbene Tolemeo associ solo l’umido alla donna, mentre Aristotele spesso vi associa anche il freddo). Si è rilevata, inoltre, la difficoltà di identificare una dottrina coerente sia in Aristotele, sia in Tolemeo, quando si parla di incasellare le qualità in compartimenti stagni quali la ‘positività’ e la ‘negatività’, o la ‘mascolinità’ e la ‘femminilità’. Al di là del tentativo di individuare con precisione la vera essenza delle qualità e delle loro precise associazioni, si è compreso che esse sono comunque fondamentali nel pensiero greco, soprattutto per individuare le differenze di genere, e ne è una prova tangibile la grande mole di commenti (riportati supra cap. 3) che tentano di spiegare e dare definizioni agli aggettivi ‘caldo’, ‘umido’, ‘freddo’, ‘secco’. È grazie ai commenti tardoantichi, medievali e rinascimentali che si può assaporare il valore, ma anche le controversie, dietro la dottrina degli umori e delle qualità, che sono servite da un lato come teorie mediche (quando la letteratura medica era ancora in germe), dall’altro come teorie legittimanti l’ordine sociale patriarcale. Il discorso tolemaico sulla natura della donna deriva da secoli di teorie sulle qualità insite nel maschile e nel femminile. Si è visto che si concorda da più parti sull’umidità della donna, e spesso il femminile viene non a caso associato al freddo, qualità negativa. La subalternità della donna è spiegata da Tolemeo nello stesso modo in cui è spiegata da Aristotele, ossia con argomenti biologici: per quest’ultimo, la donna dovrebbe essere calda, ma poiché perde sangue mestruale, si raffredda e quindi è imperfetta, perché il calore (la maggior parte degli antichi è d’accordo in proposito: cf. supra capp. 1 e 2) è una qualità vitale, opposta al freddo mortifero.
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Abbreviazioni
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Intr. = Introductorium in astronomiam Albumasaris abalachi octo continens libros partiales, Venetiis, mandato et expensis Melchionis Sessa, 1506 (trad. di Ermanno di Carinzia)
Alb. Mag. = Alberto Magno (1206-1280)
Coel. = De coelo et mundo
Bir. = Abū al-Rayḥān Muḥammad ibn Aḥmad al-Bīrūnī (Khwarazsm 973-Ghazna 1030)
Instr. = The Book of Instruction in the Elements of the Art of Astrology, ed. e trad. di R. Ramsay Wright, London 1934.
Card. = Gerolamo Cardano (1501-1571)
Comm. = Hieronymi Cardani Mediolanensis, Commentariorum in Ptolemaeum de Astrorum iudiciis Libri IV, in Opera Omnia cit.
Subt. = Hieronymi Cardani Mediolanensis, De subtilitate, in Opera Omnia cit.
D’Ab. = Pietro D’Abano (Abano 1250-1316)
Conciliator controversiarum quae inter philosophos et medicos versantur, Venetiis 1565.
Haly. = Abū l-Ḥasan ʿAlī ibn Riḍwān ibn ʿAlī ibn Gia‘far al-Miṣrī (Il Cairo 998-1068)
Liber quadripartiti Ptholemei, idest quatuor tractatuum; in radicanti discretione per stellas de futuris et in hoc mundo constructionis et destructionis contingentibus cum commento Haly Heben Rodan, Venetiis per Bonetum Locatellum, impensis nobilis Octaviani Scoti civis Modoetiensis, 1493.
Hemg.1 = Conrad Hemgartner (sec. XV)
In Quadripartitum Ptolomei commentarium ad illustrissimum Joannem, Borbonii atque Alverniae ducem, C. Hemgartner, ms. Paris, BN lat. 7305 ff. 4r-346r.
Heph. = Hephaestio Thebanus astrologus, IV sec. d.C.
Hephaestionis Thebani Apotelesmaticorum libri tres, ed. D. Pingree, Lipsiae 1973.
Iul. = Iulianus Laodicensis astrologus, sec. V/VI d.C.
Iulianus Laodicensis περί τῆς τῶν μετεώρων σεμειώσεως Ἡλὶου Σελήνης καὶ ἀστέρων, CCAG IV 109.
Nab. = Valentin Nabod (1523-1593)
Apot. = Valentini Naibodae Mathematici praeclarissimi In Claudii Piolemael Quadripartitae Constructionis Apo-telesmata Commentarius novus et Eiusdem Conversio nova, ms. Britsh Museum Sloane A216 XVI G ff. 1r-378r.
E. = Enarratio elementorum astrologiae, in qua praeter Alcabicij expositionem atque cum Plolemaei principiis collationem, rejectis sortilegiis et absurdis vulgoque receptis opinionibus, de vera artis praceptorum origine et usu disseritur: in celeberrima Coloniensi Academia studiosis philosophiae proposita a Valentino Nabod, amplissimi Senatus Coloniensis Mathematicarum ordinario, Coloniae (apud haeredes Arnoldi Birckmanni) 1560.
Niph. = Agostino Nifo (1473-1546)
Apot. = Ad Sylvium Pandonium Boviani Episcopum Eutichi Augustini Niphi Philotei Suessani ad Apotelesmata Ptolemaei eruditiones, Neapoli 1513.
Rist. = Giuliano Ristori (25.6.1492-?)
Reverendi ac eximii magistri Iuliani Ristori Pratensis per me Amerigum Troncianum, dum eum publice legeret in almo Pisauri ginnasio currente calamo collecta, ms. Firenze Bibl. Riccardiana lat. 157 cc. 248.
Tit. = Placido Titi (Perugia 1600-1668)
Phys. = Physiomathematica sive Coelestis Philosophia naturalibus hucusque desideratis ostensa principiis. Auctore D. Placido de Titis Perusino Olivetanae Congregationis Monacho. Cum nuperrimisi ad Placidianam doctrinam additamentis, excerptis ex III libro Astronomicarum rerum praemittendarum ad futuram Astrologiam Italicam, a Cursino Francobacci et Africano Scirota Romano, in hac secunda editione ad operis calcem appositis, Mediolani (ex Typographia Fr. Vigoni) 1675.
Notas
1 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970.
2 Trad. D. Lanza, 1966, 209; cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 255.
3 Per la datazione (tra inizio e fine V sec., o addirittura inizio IV sec. a.C.), cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 256 n.1.
4 Trad. G. E. R. Lloyd, 1970, 255s. Per la datazione (fine V sec.), cf. K. Deichgräber, 1935, 27 n.4.
5 Trad. G. E. R. Lloyd, 1970, 256.
6 Per la datazione, cf. H. Kühn, 1956, 80 n.1.
7 1970, 257 n. 3.
8 1970, 258.
9 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 258.
10 Cf. J. Jacques, 2012, 229-258.
11 Cf. N. Campion, 2008, 161.
12 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 260.
13 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 266s.
14 Cf. F. M. Cornford, 1952, 24; G. E. R. Lloyd, 1970, 261-270.
15 1953, 260; e con lui G. E. R. Lloyd, 1970, 265.
16 U. Hölscher, 1953, 260.
17 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 268s.
18 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 271 e n. 34.
19 Cf. p. 271 n. 35.
20 1970, 271.
21 Trad. G. E. R. Lloyd, 1970, 271.
22 Cf. Od. XIII 392s., Soph. El. 819; vd. anche G. E. R. Lloyd, 1970, 271 n. 36.
23 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 272.
24 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 272.
25 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 272.
26 1970, 273.
27 Cf. G. E. R. Lloyd 1970, 274.
28 Cf. Gen. an. 765b 8-766b 37; vd. in part. G. Sissa, 1983, 83-92.
29 Cf. in part. E. Cantarella, 2013, 96.
30 Cf. soprattutto G. Sissa, 1983, 139-145.
31 Cf. in part. G. Sissa, 1983, 90; 1992, 65-71.
32 Trad. D. Lanza-Vegetti, 1971, 1004.
33 Cf. in part. R. Joly, 1966, 61, secondo cui la convinzione ippocratea è che l’uomo sia più caldo della donna.
34 Cf. VS 68 A 143 ap. Arist. Gen. an. 764a 6.
35 Cf. E. Cantarella, 2013, 86 n.1. Per farsi un’idea dell’ampiezza del dibattito medico-scientifico del VI-V sec. a.C. sulla questione della monosessualità della procreazione e della determinazione del sesso, cf. M. Vegetti, 1976, 105-107.
36 «Madre si dice, ma non è lei che genera il figlio: diventa però la nutrice non appena in lei sia stato seminato l’embrione. Chi procrea è il maschio che la prende; lei è come un ospite che per il suo ospite custodisce e preserva il rampollo, a meno che gli dèi non lo annientino» (Aesch. Eu. 657-661, trad. M. Centanni, 2003, 645).
37 Cf. N. L. Loraux, 1981, 129 e 144.
38 1991, X.
39 Cf. e.g. Hippoc. Nat. puer. 12, 21; vd. Lloyd 1983, 58-111.
40 Cf. Ov. Ars II 687s.; questa credenza è confermata dal mito di Tiresia, che potendo cambiare genere ha sperimentato sia il piacere maschile, che quello femminile: cf. Ov. Met. III 316-338.
41 Cf. in part. G. Aujac, 1993, 32.
42 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 1011; vd. G. Bezza, 1990, XXs.
43 G. Bezza, 1990, 24-26.
44 Cf. Tetr. I 2,1-6, 7,9.
45 Cf. Tit. Phys. 35.
46 Cf. Arist. Mete. 339a 11s.
47 Cf. Arist. Long. 466a.
48 Cf. G. Bezza, 1990, 71.
49 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 156.
50 Cf. Cael. 285a 4-6.
51 Cf. 285b 29s.
52 Cf. 285b 16-18.
53 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 650.
54 Cf. Hist. an. 538b 2-7.
55 Cf. 493b 16.
56 Cf. Gen. an. 732a 23; vd. F. Héritier-Augé 1993, 128.
57 Cf. in part. G. Sissa, 1983, 105s.
58 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 881.
59 Cf. in part. G. Bezza, 1990, 63.
60 Cf., e.g., Gen. an. 765b 8-766b 37.
61 Per il significato di ‘pesante’, ‘denso’, ‘sottile’, ‘spesso’, cf. Cael. 286a 26s., 288b 7s., Ph. 217b 17s., Part. an. 648a 11s., Gen. corr. 330a 8s.
62 Per un parallelo con le altre culture, cf. F. Heritier-Augé, 1985, 14: ad esempio, anche per la cultura cinese dello yin e dello yang, lo yin è femminile, freddo e negativo, lo yang è maschile, caldo e positivo.
63 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 662.
64 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 979.
65 Cf. G. E. R. Lloyd, 1970, 277.
66 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 894.
67 Cf. in part. G. Sissa, 1983, 90s.; G. Bezza, 1990, 24s.
68 Cf. G. Sissa, 1983, 107.
69 Trad. G. Sissa, 1983, 90.
70 Cf. G. Sissa, 1983, 90s.
71 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 966.
72 1985, 12s.
73 Cf. D. Gieseler Greenbaum, 2020, 357s.
74 Cf. Democr. VS 68 B 34 ap. David Philosophus Proll. 38,14 Busse; vd. D. Gieseler Greenbaum, 2020, 358.
75 Cf. D. Gieseler Greenbaum, 2020, 358.
76 Cf. Tetr. I 3,6-11; vd. G. Bezza, 1990, 46-48.
77 Cf. S. Feraboli, 1998, XVII.
78 Trad. S. Feraboli, 1998, 11.
79 Cf. A. A. Long, 2006, 141.
80 Cf. Tim. 39e-40a, 55a-c.
81 Cf. Gen. corr. 335a 8.
82 Cf. G. Bezza, 1990, 70s.
83 Cf. Gen. corr. 335a 8.
84 Cf. Mete. 339a 11-13.
85 Cf. G. Bezza, 1990, 71.
86 1990, 28-30.
87 Cf. G. Bezza, 1990, XXI.
88 Cf. G. Bezza, 1990, 25.
89 Cf. Cael. 269a 31; vd. G. Bezza, 1990, XX.
90 Cf. G. Bezza, 1990, 61s.
91 Cf. Alb. Mag. Coel. II 3,3.
92 Cf. Gen. an. 762a 18.
93 Cf. Cic. Tusc. I 19.
94 Cf. Tetr. I 3,1; vd. G. Bezza, 1990, 40s.
95 1975, 25.
96 1990, 65 e n. 25.
97 Cf. Niph. Apot. 4rab.
98 Cf. G. Bezza, 1990, 66s.
99 Cf. G. Bezza, 1990, 66s.
100 Cf. G. Bezza, 1990, 67.
101 Cf. G. Bezza, 1990, 68; D. Gieseler Greenbaum, 2020, 366.
102 Cf. Tetr. I 5,1s.; vd. G. Bezza, 1990, 82.
103 1990, 83.
104 Cf. G. Bezza, 1990, 83.
105 Cf. G. Bezza, 1990, 83. In realtà, F. Rochberg-Halton (1988b) ha messo in luce una classificazione tra pianeti benefici e malefici simile a quella ellenistica già nella letteratura astronomica babilonese di periodo seleucide.
106 Cf. G. Bezza, 1990, 84.
107 Cf. Haly. 13ra, Hemg.1 40r.
108 Cf. G. Bezza, 1990, 83.
109 Trad. G. Bezza, 1990, 84.
110 Trad. G. Bezza, 1990, 84s.
111 Cf. Alb. Intr. 4,5.
112 Cf. Tetr. I 5,1.
113 Trad. S. Feraboli, 1998, 35.
114 Cf. Tetr. I 5,2; vd. A. Bouché-Leclercq, 1899, 94-98.
115 Cf. Nab. E. 232.
116 Cf. Tetr. I 5,2.
117 Cf. Iul. 152,4 ἐπίκοινοι.
118 Cf. Heph. I 31,19: μέσοι, vd. G. Bezza, 1990, 85s. Per le combinazioni dei temperamenti, cf. G. Bezza, 1990, 183s.
119 1990, 85.
120 Trad. S. Feraboli, 1998, 37.
121 Cf. Tetr. I 5,1.
122 Cf. Tit. Phys. 75.
123 Cf. G. Bezza, 1990, 213-222.
124 Cf. Arist. Gen. an. 783b 29s.: «Per gli uomini, l’inverno e l’estate sono da ricondurre all’età», trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 1027; vd. supra 2.
125 Cf. Gen. an. 762a 18.
126 Cf. Loc. Hom. 42, Morb. I 1.
127 Cf. e.g. Gen. an. 733a 31.
128 Trad. S. Feraboli, 1998, 39.
129 Cf. Gen. an. 728a 17-22.
130 Cf. Haly 13r-v.
131 E.g. Bir. Instr. 234,385, Alb. Intr. 4,8.
132 Cf. Rhetor. CCAG I 145, Bir. Instr. 234,385, Alb. Intr. 4,8.
133 Cf. W. Hübner, 2014, 150s.
134 Cf. G. Bezza, 1990, 89.
135 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 833.
136 Trad. D. Lanza-M. Vegetti, 1971, 832.
137 Cf. G. Bezza, 1990, 89.
138 Cf. G. Bezza, 1990, 89.
139 Cf. C. Préaux, 1973, 128-131.
140 Cf. Niph. Apot. 11ra.
141 Cf. W. Hübner, 2014, 147s.
142 Cf. G. Bezza, 1990, XVII; Aujac 1993, 23s.
143 Cf. W. Hübner, 2020, 298s.
144 Cf. D. Gieseler Greenbaum, 2020, 350s.
145 Cf. F. Rochberg-Halton, 1988.