GLI OSPEDALI DEGLI INCURABILI A ROMA E NAPOLI

STORIE DI SOLIDARIETÀ E D’INCLUSIONE SOCIALE

 

LOS HOSPITALES PARA LOS INCURABLES DE ROMA Y NÁPOLES

HISTORIAS DE SOLIDARIDAD E INCLUSIÓN SOCIAL

 

Rosa Maria Giusto

(Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo, Napoli, Italia)

r.giusto@iriss.cnr.it

 

Recibido: 28 julio 2021    / Aceptado: 21 agosto 2021

 


Astratto: Il contributo ricostruisce la storia fondativa di due complessi ospedalieri destinati agli Incurabili, ripercorrendone le relazioni. Di fondamentale importanza per l’evoluzione dei sistemi sanitari e lo sviluppo urbano e territoriale delle rispettive città, l’Arciospedale di san Giacomo in Augusta a Roma e il complesso di santa Maria del Popolo degli Incurabili a Napoli furono caratterizzati in Età Moderna da una comune organizzazione e struttura dovute al ruolo esercitato dal notaio genovese Ettore Vernazza, fondatore della compagnia del Divino Amore, che ne coadiuvò e promosse le iniziative e da personalità del calibro di Gaetano da Thiene e Filippo Neri.

Attualmente dismessi e in condizioni fatiscenti, tali edifici testimoniano, per la qualità delle loro architetture e il ruolo assunto nei secoli, l’importanza e la centralità che i temi dell’accoglienza e della cura rivestirono sin dall’Età Moderna sollecitati dall’azione aggregante e solidale svolta dalle confraternite quali istituzioni caritatevoli in grado di contribuire attivamente al miglioramento della società e alla qualità e ai servizi degli spazi di vita quotidiani.

Parole chiave: Ospedali degli Incurabili; Età moderna; Confraternite; Roma, Napoli;

Resumen: Esta contribución reconstruye la historia de la fundación de dos complejos hospitalarios para los Incurables, trazando sus relaciones. De importancia fundamental para la evolución de los sistemas sanitarios y el desarrollo urbano y territorial de sus respectivas ciudades, el Arciospedale di san Giacomo en Augusta de Roma y el complejo de santa Maria del Popolo degli Incurabili de Nápoles se caracterizaron en la Edad moderna por una organización común debida al papel desempeñado por el notario genovés Ettore Vernazza, fundador de la compagnia del Divino Amore, que asistió y promovió sus iniciativas, y por personalidades de la talla de Gaetano da Thiene y Filippo Neri.

Ambos edificios se encuentran actualmente en desuso y en estado ruinoso. La calidad de su arquitectura y el papel que han desempeñado a lo largo de los siglos atestiguan la importancia y la centralidad que los temas de la hospitalidad y la asistencia -nunca tan actuales en una época de emergencias sanitarias como la nuestra- han desempeñado desde la Edad Moderna, impulsados por la acción asociativa y solidaria llevada a cabo por las cofradías como instituciones caritativas capaces de contribuir activamente al progreso de la sociedad y a la calidad y servicios de los espacios de la vida cotidiana.

Palabras clave: Hospitales para Incurables; Edad Moderna; Cofradías; Roma; Nápoles

 

Cómo citar este artículo: 

Giusto, R. M. (2021). Gli ospedali degli incurabili a Roma e Napoli. Storie di solidarietà e d’inclusione sociale. Revista Eviterna 10, 67-84 /

DOI: https://doi.org/10.24310/Eviternare.vi10.13119



1. Introduzione

Di fondamentale importanza per l’evoluzione dei sistemi sanitari e lo sviluppo urbano e territoriale delle rispettive città, l’arciospedale di san Giacomo in Augusta a Roma e il complesso di santa Maria del Popolo degli Incurabili a Napoli testimoniano  l’importanza e la centralità che i temi dell’accoglienza e della cura rivestirono sin dall’Età moderna, sollecitati dall’azione aggregante e solidale svolta dalle confraternite quali istituzioni caritatevoli in grado di contribuire attivamente al miglioramento della società e alla qualità e ai servizi degli spazi di vita quotidiani.

2. L’ospedale di San Giacomo in Augusta a Roma

L’ospedale di san Giacomo in Augusta svolse un ruolo fondamentale nella Roma del XVI secolo. Sebbene fondato durante la prima metà del Trecento, la sua funzione ‘riabilitativa’ giunse a pieno compimento durante il Cinquecento quando, come in altri centri cittadini, le epidemie di peste e la sifilide delinearono scenari emergenziali di fronte ai quali occorse intervenire rapidamente. Terzo ospedale romano dopo il santo Spirito in Saxia, del 1198, e il san Salvatore ad Sancta sanctorum -poi ospedale san Giovanni in Laterano-, del 1332, fu costruito nel 1339 grazie ai cospicui lasciti del cardinale Pietro Colonna che lo volle dedicato, con la chiesa annessa, «a san Giacomo in ricordanza di suo zio, il cardinale Giacomo Colonna» (Nibby, 1839, p. 472).

Situato in un’area strategica della città (Polito, 1971, pp. 575-590; Tafuri, 1989, pp. 323-364; Zanchettin, 2005, pp. 209-286), nelle immediate vicinanze della porta dei Pellegrini -porta Leonina-, poi porta del Popolo, di accesso da nord e all’inizio del prolungamento della via Flaminia, in seguito via Lata -attuale via del Corso-, il complesso si ergeva a poca distanza dal porto fluviale di Ripetta e difronte al porto della Legna[1] (Di Castro, 2009, pp. 265-284) -come si può rilevare dalla Nuova Pianta di Roma di Giovan Battista Nolli (Bevilacqua, 2018) del 1748- garantendo il rapido scambio di merci e i collegamenti indispensabili per una struttura delle dimensioni e delle finalità di quella del san Giacomo. La zona prescelta, nei pressi del mausoleo di Augusto -da cui derivò il toponimo ‘in Augusta’-, trasformato nel XII secolo in fortilizio della famiglia Colonna, era a quel tempo da considerarsi periferica, contrassegnata da orti e vigneti, in conformità con le esigenze d’isolamento, salubrità e prossimità ai principali ingressi cittadini (Bellini, 2015, pp. 37-61) propri di un nosocomio.

            In piena efficienza già alla fine del ’400, fu affidato nel 1451 da papa Niccolò V alla congregazione di santa Maria del Popolo che ne mantenne la gestione per lungo tempo, coadiuvata e rinnovata dal contributo vivificatore della compagnia del Divino Amore fondata da Ettore Vernazza, camerlengo dell’ospedale romano dal 1517 al 1518. Dopo l’elezione a ‘archiospedale degli Incurabili’ con bolla di papa Leone X del 1519, la struttura fu sottoposta a diversi interventi di ampliamento e ristrutturazione, indispensabili per adeguarla alle mutate esigenze di cura e d’internamento. A partire dalla seconda metà del XV secolo, infatti, il numero dei ricoverati crebbe notevolmente, tanto da comportare l’edificazione di altri complessi ospedalieri nella zona quali quello delle Celate, collegato alla chiesa di san Rocco, e il vicino ospedale di san Girolamo degli Schiavoni, con chiesa annessa.

            Fu ancora con bolla del 19 maggio 1519 -Illis qui in altis- che Leone X s’impegnò a promuovere l’ampliamento dell’ospedale di san Giacomo -originariamente composto di un solo corpo di fabbrica- lungo via delle Tre Colonne, poi via Canova, tra la via Lata e la via di Ripetta, come si evince anche dalla pianta di Roma di Leonardo Bufalini del 1551. I documenti relativi al contratto siglato quello stesso anno di 1519 tra Giorgio da Coltre e la compagnia di santa Maria del Popolo attestano l’avvio di lavori finalizzati a: «costruere et construi farcere seu finire totum hospitale noviter inceptum videlicet ubi sunt facta nova fundamenta et illud unire et continuare cum hospitali veteri usque ad novam via Leoninam» (Heinz, 1977, pp. 191-192).

            I primi interventi effettuati sotto la supervisione dell’architetto, con la collaborazione di Antonio da Sangallo ‘il Giovane’[2], riguardarono il prolungamento del blocco originario fin lungo l’attuale via di Ripetta e comportarono modifiche all’antica cappella posta in angolo, trasformata nella chiesa di santa Maria in Porta Paradisi, destinata alle esigenze funebri connesse con le sepolture originariamente disposte nei giardini del nosocomio. La chiesa -la cui data d’inizio dei lavori è documentata al maggio del 1523- è attribuita ad Antonio da Sangallo ‘il Giovane’, che sovrintese ai lavori fino al 1526 e costituiva la testata del nuovo corpo di fabbrica dell’ospedale lungo via di Ripetta (Stabile, 2018, p. 7; Placidi, 1987, p. 60).

            «Eretta all’angolo con la via Recta (Ripetta) la chiesa di santa Maria Portae Paradisi può dunque considerarsi quale conclusione dei lavori di ampliamento dell’ospedale iniziati nel 1519» (Muliere, 2012; Lio, 2000). Tra il 1537 e il 1543, venne realizzato il blocco destinato alle donne, posto a settentrione e parallelo a quello originario, con accesso dalla via Lata. Contemporaneamente, vennero eseguiti lavori nella preesistente chiesa di san Giacomo, restaurata e ampliata tra il 1548 e il 1549[3] (Stabile, p. 8). Il nosocomio risultava così suddiviso in due corpi o ‘appartamenti’ destinati rispettivamente agli uomini -nel blocco «a mano destra della porta della chiesa di san Giacomo sopra la via Lata al presente del Corso, et tira per lungo sino la strada Leonina» (De Angelis, 1955, p. 14)- e alle donne.

            A partire dal 1579, vennero avviati i lavori di costruzione di un nuovo corpo di fabbrica di due piani, parallelo alla vecchia corsia, finanziati grazie ai fondi messi a disposizione dal cardinale Antonio Maria Salviati, guardiano-prelato dell’arciospedale, che ne divenne mecenate e sostenitore destinando parte della propria eredità[4] alla costruzione, manutenzione e gestione della struttura col vincolo che venissero rispettate e mantenute nel tempo le sue originarie funzioni fondative. Il progetto venne affidato a Francesco Capriani da Volterra (Marcucci, 1991) con «l’esecuzione di Bartolomeo Grillo o Grippetta» (Stabile, p. 8).

            Nel 1580, le due ‘maniche lunghe’ che connotano l’impianto dell’edificio erano definite. I lavori per il completamento del nuovo braccio si conclusero nel 1584: «le testate del nuovo braccio, caratterizzate da un’identica partitura architettonica, erano destinate all’ingresso per gli uomini, su via di Ripetta, e a quello per le donne, su via Lata» (Stabile, p. 8) come si può osservare nella pianta di Roma di Antonio Tempesta del 1593, dove la chiesa di san Giacomo non ha ancora subito le trasformazioni successive. Sempre grazie al sostegno economico assicurato dal cardinale Salviati, venne costruito il braccio tra le due corsie destinato a ospitare le diverse ‘officine’ dell’ospedale: «la Spezieria, con uno spetiale et un garzone, e alcune abitazioni per gli offiziali e ministri, con giardini e fontane» (Vanti, 1991, p. 30). [Fig.1]

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Fig. 1. Giovanni Battista Falda, Nuova Pianta et alzata della città di Roma con tutte le strade, piazze et edificii de tempi, palazzi, giardini et altre fabbriche antiche e moderne, 1676, Roma. Dall’immagine emerge la configurazione ad ‘H’ del complesso architettonico con la nuova chiesa di san Giacomo lungo la via Lata e la chiesa di santa Maria in Porta Paradisi lungo la via di Ripetta.

            Circa la conformazione ad ‘H’ acquisita dall’ospedale, va ricordato che, nei disegni[5] di Baldassare Peruzzi e di Antonio da Sangallo ‘il Giovane’ conservati nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (Heinz, 1981, figg. 12-20), sono raffigurate «diverse soluzioni caratterizzate da un impianto ad ‘H’, articolato in rapporto alla struttura dell’isolato preesistente» (Stabile, p. 7), di ispirazione per i successivi interventi attuati sulla fabbrica.

            A Francesco da Volterra venne affidato anche il progetto di rinnovamento della chiesa di san Giacomo, [Fig.2] articolata su di un impianto ellittico che precede altri esempi romani del periodo e che si innesta, con la sua abside fiancheggiata da campanili e i suoi «robusti contrafforti a forma di voluta, poggiati sui muri divisori delle cappelle» (Stabile, p. 11), nel primo dei due cortili verso la via Lata derivanti dalla nuova conformazione dell’ospedale (Spagnesi, 2002, pp. 127-132). Alla morte del Volterra, il progetto venne portato a compimento da Carlo Maderno che modificò la conformazione della cupola, inizialmente prevista estradossata e illuminata da un oculo centrale d’ispirazione classica, in favore della soluzione intradossata a tiburio, tutt’ora visibile. Al Maderno si deve anche la realizzazione dei due campanili absidali dei quali è stato acutamente rilevato l’«accentuato essenzialismo volumetrico-costruttivo con cui è definita l’architettura: paraste, fasce, riquadri» (Benedetti, 1993, fig. 179).

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Fig. 2. Francesco da Volterra, pianta della chiesa di san Giacomo degli Incurabili al Corso, 1590, Roma. Museo Nazionale di Stoccolma, inv. NMH CC 2071.        

            Come si può osservare da un confronto tra le vedute del Falda, la soluzione a voluta dei contrafforti ideata dal Volterra, [Fig.3] sia pure con altre implicazioni, anticipa quella impiegata più tardi da Gian Lorenzo Bernini nella chiesa di sant’Andrea al Quirinale (Wittkower, 1972, p. 154), anch’essa notoriamente impostata su di un impianto ellittico, la cui disposizione “ruotata”, con accesso lungo l’asse minore, diverrà, per gli effetti spaziali dinamici e “orbitanti”, emblematica dell’architettura barocca. Dalla metà del Seicento l’ospedale, divenuto uno dei più grandi della città, estese la sua ricettività ai malati ‘comuni’ comportando, nel tempo, la necessità di prevedere ulteriori ampliamenti e adeguamenti funzionali che culmineranno negli interventi attuati a metà ’800 da Pietro Camporese ‘Il Giovane’ (1842- 1849) e da Gaetano Morichini (1863).

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Fig. 3. Giovanni Battista Falda, “Chiesa di san Giacomo con l’Hospedale de gl’Incurabili su via del Corso”, Il Nuovo Teatro delle fabriche, et edificii, in prospettiva di Roma moderna, III libro, tav. 26, 1665-1739, Roma.

            Il corpo di fabbrica sul vicolo di San Giacomo (già vicolo delle tre Colonne, ora via Canova) viene restaurato, ampliato e distribuito su due livelli con la costruzione di una volta a botte lunettata e il rinforzo delle strutture murarie. Si realizza così, al piano superiore, la corsia degli uomini - Sala Genga - che si sviluppa su 127 metri, destinata ad ospitare 120 letti; la lunga corsia era illuminata da una monumentale serliana e da ampie finestre centinate. L’intervento porta alla riconfigurazione dei fronti su via del Corso che saranno caratterizzati da due facciate gemelle, ai lati della chiesa, e alla conseguente demolizione del cinquecentesco ‘ingresso delle donne’ e dell’antica cappella di S. Giacomo (Stabile, p. 12).

            Tale disposizione è ancora visibile nella tavola raffigurante il profilo degli edifici lungo la via del Corso del Moschetti, del 1835. L’ingresso degli uomini, su via di Ripetta [Fig.4] verrà trasformato internamente nel 1780 con la realizzazione del Teatro Anatomico-Sala Lancisiana. Ulteriori modifiche verranno attuate nel corso del XX secolo per adattare la struttura alle mutate esigenze sanitarie, con la costruzione, negli anni ’70 del Novecento, di un nuovo blocco interno al cortile su via di Ripetta, destinato ad accogliere il reparto ortopedico.

            Grazie alle numerose iniziative solidali promosse da figure di spicco del panorama religioso del tempo quali: Gaetano da Thiene (1480-1547), che ne fu anche guardiano; Filippo Neri (1515-1595), che vi lavorò come fratello laico, prima di prendere gli ordini; e, Camillo de Lellis (1550-1614), che fu servitore degli Infermi, mastro di casa e fondatore della congregazione dei Ministri degli Infermi sorta all’interno del san Giacomo (1585) -il osocomio divenne all’inizio del XVI secolo il nucleo «da cui si irradiò la riforma degli ospedali romani» (Bonadonna Russo, 1984, p. 43)- riportando al centro dell’organizzazione ospedaliera il concetto cristiano di charitas, impropriamente sostituito con quello di beneficenza che implicava «un rapporto di dipendenza fra benefattore e beneficato» (Bonadonna Russo, p. 45).

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Fig. 4. Roma. Prospetto del complesso di san Giacomo su via di Ripetta con in primo piano l’ingresso degli uomini trasformato nel 1780 in sala Lancisiana. (Foto dell’autore)

            Realizzatori di una ‘profonda riforma ospedaliera’ che si concretizzò nell’organizzazione di attività di assistenza domiciliare per i malati, i ministri degli Infermi si rivelarono di fondamentale sostegno in tutte le epidemie e le sfide sanitarie che si verificarono nella seconda metà del XVI secolo. Ad essi si aggiunsero i Fatebenefratelli, incaricati nel 1842 di dirigere proprio il complesso di san Giacomo.

            Il fiorire di questa ‘nuova e più partecipata religiosità’, sollecitata dalle istruzioni dettate dal concilio di Trento, contribuì a diffondere il messaggio di fede e di solidarietà inaugurato da Gaetano da Thiene, come attesta anche la fondazione in quegli stessi anni (1553) della nuova congregazione oratoriana ad opera di san Filippo Neri. L’azione rinnovatrice avviata:

da s. Gaetano di Thiene e da s. Filippo […] e attuata da s. Camillo […] mediante la creazione di organismi appositi, poteva riassumersi nel ritorno alla carità originaria esercitata attraverso l’impegno volontario, continuo e personale di alcuni uomini a servizio di altri, meno fortunati e […] bisognosi […], cioè al principio originario ispiratore di tutte le iniziative assistenziali cristiane. [Si diede avvio così alla] «progressiva laicizzazione dell’ospedale e [al]la sua trasformazione da modesto organismo capace di un’azione circoscritta a pochi, a grande istituto rivolto a soddisfare le esigenze di tutta la comunità (Bonadonna Russo, 1984, p. 49).

3. Il complesso di Santa Maria del Popolo degli incurabili a Napoli

            Nel delineare il quadro delle strutture sanitarie operanti a Napoli in Età moderna occorre far riferimento alle confraternite[6] e, in generale, a quelle associazioni caritative e assistenziali a vario titolo coinvolte nelle politiche d’intervento mirate al sostentamento delle fasce sociali più deboli ed emarginate provenienti dai quartieri poveri e a rischio della città, gravati dal sovraffollamento e dalla miseria e da fenomeni d’immigrazione incontrollata alla base degli ingenti problemi di ordine sociale e sanitario (Filangieri Ravaschieri Fieschi, 1875, pp. 243-270; Galasso & Russo, 1980; Lazzarini, 1995; Vitolo & Di Meglio, 2003; Gazzini, 2009; Casanova, 2014).

            A partire dal medioevo, ‘storia sociale e storia della medicina’, pauperismo e pubblica assistenza a Napoli s’intrecciano inestricabilmente, determinando dinamiche urbane e territoriali in rapida evoluzione. Con il trasferimento della capitale del regno di Sicilia da Palermo a Napoli, avvenuto nel 1282 per volere di Carlo I d’Angiò, si era assistito a uno dei periodi più propulsivi e fecondi della storia cittadina. Individuando nel margine sud-orientale della città, nei pressi della collina di Pizzofalcone, il luogo più adatto per l’inserimento del nuovo ‘centro direzionale’ (De Seta, 1981, pp. 40-44), snodo cruciale e di rappresentanza del potere politico-amministrativo gravitante attorno all’erigenda fabbrica di Castel Nuovo, si era creato un nucleo strategico di espansione e allo stesso tempo una cerniera di rammaglio e di collegamento col centro antico. Quest’ultimo, pur continuando ad assolvere le sue originarie funzioni abitative destinate ad accogliere, accanto alle residenze dei nobili, le abitazioni popolari, era andato rapidamente trasformandosi in ‘centro di vita religiosa’ sostenuto dalle politiche del regno particolarmente favorevoli al radicamento degli ordini monastici nei quartieri stratificati della città (De Seta, 1973, pp. 84-87).

            Un orientamento proseguito anche in età aragonese, quando si consolida il progressivo insediamento di aree e insule del tessuto urbano interamente occupate da complessi conventuali che incidono significativamente sull’assetto complessivo della città, fino a determinare quel processo di ‘sacralizzazione’ del centro antico, ilevato da più fonti. Agli inizi del ’500 Napoli era cresciuta considerevolmente tanto da comportare la necessità di prevedere una sua ‘espansione controllata’ entro nuovi circuiti difensivi. Tale impegno fu avviato concretamente a partire dal 1533 e fino al 1547 con il piano di ampliamento e di risanamento promosso dal viceré Pedro de Toledo per dare ordine e struttura all’espansione di nuclei e casali che si erano addensati copiosi all’esterno delle mura cittadine determinando la crescita di borghi sempre più popolosi e congestionati. Alla fine del secolo si contavano, tra centro, borghi e casali, più di 300 mila abitanti destinati a superare le 400 mila unità alla metà del Seicento (De Seta, 2010, pp. 173-181).

            In una città che volgeva rapidamente a divenire una delle metropoli più visitate e dinamiche del tempo, il numero sempre crescente di abitanti; il rapporto tra spazi aperti e spazi costruiti; le difficili, spesso precarie, condizioni di vita degli abitanti dei quartieri più poveri e disagiati, concorsero a delineare alcune delle principali criticità che avrebbero afflitto il centro urbano, portando in evidenza problemi di tenuta sociale e di sanità pubblica ai quali occorreva dare risposta (Galasso, 2000, pp. 565-574).    

            Ad aggravare la situazione concorsero almeno altri due fattori drammaticamente connessi a questioni igienico-sanitarie: il propagarsi, a partire dal gennaio del 1496, della sifilide[7] e lo scoppio dell’epidemia di peste, dal 1527 al 1530, per far fronte alla quale Pedro de Toledo avrebbe stilato il suo particolareggiato piano di risanamento.

            Da tali condizioni emergenziali nacque l’esigenza di realizzare strutture apposite destinate alla cura precoce degli ‘infetti’ -i cosiddetti incurabili- da isolare e trattare secondo ‘protocolli’ sanitari assai diversi da quelli adottati negli altri spedali cittadini, destinati alla cura di patologie differenti (Boccadamo: 1988, pp. 310-340; 1999, pp. 37-170). D’altra parte, da quando la nuova malattia si era diffusa in Europa a seguito del rientro di Cristoforo Colombo dalla sua fortunata spedizione nelle Americhe, si era assistito anche in Italia a una progressiva presa di coscienza della necessità d’intervenire con la realizzazione di strutture preposte, appositamente rivolte alle cure del caso, provvedendo alla costruzione dei primi ‘spedali per incurabili o inguaribili’ distribuiti sul territorio nazionale (Da Langasco, 1938). A cavallo del ’500 sorsero su tali premesse l’ospedale di Genova -edificato per interessamento della nobile Caterina Fieschi con il coinvolgimento del notaio Ettore Vernazza, che si rivelerà figura nodale per la promozione e la riuscita di tale lodevole iniziativa anche in altre città d’Italia e segnatamente a Roma e a Napoli-; quello di Bologna, istituito nel 1500, e quello di Ferrara, del 1505, dove la confraternita di san Giobbe raccolse il denaro necessario per dare avvio alla costruzione dello ‘spedale dei franciosati’.

            Di particolare importanza per il nosocomio napoletano si rivelò proprio la realizzazione dell’arciospedale dei poveri incurabili di san Giacomo in Augusta a Roma riorganizzato dal Vernazza secondo l’apporto innovatore degli oratori del Divino Amore (Bianconi, 1914; da Brusciano, 1953, p. 166; Toppi, 1953; Solfargli Camillocci, 2002). Appena due anni dopo la rifondazione dell’ospedale romano, infatti, Ettore Vernazza si recava a Napoli per fondare una struttura dalle medesime finalità di quella romana, di cui intese replicare modello fondativo e organizzazione. Anche in questo caso, il giovane notaio si avvalse di un sodalizio laico, i Bianchi di Giustizia o compagnia di santa Maria in Succurre Miseris[8] (Vitale, 1968-1969, pp. 207-291; Illibato, 2004), già operante in città, che venne appositamente rifondato secondo lo spirito degli oratoriani. La confraternita, avente sede originariamente presso il convento agostiniano di san Pietro ad Aram (1519), fu trasferita dal 1523 nel cortile dell’ospedale gli Incurabili (Celano, 1692, I giornata, pp. 87-91).

            Inoltre, tra il 1517 e il 1519, fu costituita una seconda confraternita, intitolata a santa Maria del Popolo, che accoglieva tra i suoi adepti personaggi di spicco degli ambienti catalani e napoletani presso i quali occorreva procurarsi consensi e collaborazione indispensabili per il sostegno economico e politico dell’iniziativa. Sarà proprio la denominazione di quest’ultima confraternita, rappresentante degli interessi dell’ospedale presso la Santa Sede, a dare il nome all’Ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili preferito a quello di ‘Ognissanti’, riferito al giorno in cui ebbe ufficialmente inizio l’attività ricettiva del nosocomio, nel 1522[9].

            L’11 marzo del 1519, con il breve Nuper pro parte Vestra, Leone X sanciva la fondazione ufficiale dell’ospedale di santa Maria del Popolo degli Incurabili a cui venivano riconosciuti gli stessi privilegi e le medesime agevolazioni accordate all’ospedale romano di san Giacomo (Boccadamo, 2019, p. 55). Naturalmente, la creazione di un ospedale degli Incurabili dotato di benefici ecclesiastici agevolò e favorì l’iniziativa, avvalorando l’efficacia e la riuscita del progetto. Inoltre, le numerose rendite accumulate si riveleranno cruciali per il progressivo attuarsi di un progetto di cura moderno ed efficiente, esteso alle comunità laicali e rivolto alle fasce più deboli della società. Sul finire del XVI secolo la fondazione godeva di un tale:

prestigio e potere economico derivante dai numerosi lasciti e donazioni, […] da indu[rre] i governatori a promuovere alcune istituzioni a carattere assistenziale sull’esempio di iniziative analoghe intraprese da altri enti religiosi. Nel 1583 fu istituito il Banco di santa Maria del Popolo allo scopo (…) di sostenere con piccoli crediti le famiglie meno abbienti degli infermi e, nel 1601, il Pio Monte della Misericordia che si proponeva di praticare le sette opere di carità temporale; anch’esso in origine aven[te] sede nel complesso degli Incurabili (Di Lernia, 1983, p. 260).

            Figura chiave di questo processo di mediazione tra clero, ceti alto-borghesi e potere politico-istituzionale si rivelò la nobildonna di origini catalane Maria Lorenza Requenses Lonc, naturalizzata con il nome di Maria Longo, moglie del reggente del Consiglio del Collaterale e segretario di Ferdinando I il cattolico, Johann Lonc -Giovanni Longo-. La nobile, guarita nel 1510 da una lunga malattia che le aveva causato per lungo tempo la paralisi, dedicò la propria vita al sostegno di opere assistenziali e di conforto, impegnandosi in attività caritatevoli di assistenza agli infermi e ai bisognosi.

            L’incontro tra Maria Longo ed Ettore Vernazza diede avvio alla fondazione del nuovo spedale dove la definizione di Incurabili veniva estesa a comprendere tutti coloro che avessero avuto bisogno di assistenza non avendo disponibilità alcuna di accesso alle cure, includendo in primo luogo i poveri e gli emarginati, dunque, e non solo i malati di sifilide o di altri morbi trasmissibili, denotando quel carattere assistenziale e solidale proprio delle associazioni laicali dedite alla cura e al sostegno dei più deboli. Il nosocomio, infatti, continuò «nel tempo […] a proporsi come centro di spiritualità. […] il numero delle associazioni e degli ordini religiosi impegnati nel servizio volontario agli infermi [crebbe a tal punto da rendere] necessario introdurre una turnazione nell’assistenza» (Boccadamo, 2019, p. 86). Ampliando il numero e la tipologia degli assistiti, la struttura cominciò a fungere anche da ospizio per l’accoglienza dei poveri e degli emarginati, con una particolare propensione al contesto sociale.

3.1 L’area di Caponapoli

L’evoluzione storica dell’ospedale nel contesto urbano di Caponapoli [Fig.5] si snoda lungo un arco temporale considerevole, contrassegnato da continue acquisizioni e ‘assorbimenti’ che vanno dalla prima metà del ’500 alla fine del XIX secolo (Ravacini, 1899). La presenza di una vera e propria enclave monastica nei pressi del complesso di santa Maria del Popolo degli Incurabili fu alla base del suo progressivo accrescimento ‘a discapito’ delle insule conventuali confinanti che vennero sottoposte a un processo di graduale annessione e saldatura tra lotti contigui fino a comportare, in taluni casi, la completa scomparsa di vicoli e percorsi secondari di collegamento e delimitazione tra i beni[10], ‘assorbiti’ per successive addizioni. Se si guarda all’organigramma complessivo degli Incurabili, infatti, non si può fare a meno di constatare la complessa trasformazione urbana e territoriale messa in atto nella zona quale risvolto di una politica espansionistica e territoriale mirata che attribuiva all’area di Caponapoli le funzioni di primo, vero polo della salute e dell’assistenza cittadine. Al primitivo nucleo articolato intorno al cortile rettangolare comprendente l’ospedale di santa Maria del Popolo degli Incurabili, l’omonima chiesa (1520-1522) dedicata ai santi Filippo e Giacomo, e l’oratorio di santa Maria Succurre Miseris[11] (1524), sede della confraternita dei Bianchi di Giustizia,  si aggiungono nel tempo: il Ricovero delle donne Pentite; il monastero delle Riformate e quello di santa Maria di Gerusalemme[12] comprendente l’abitazione della Longo (che vi si stabilì dal 1538) con il chiostro delle Trentatré (Galante, 1872, pp. 81-101).

Fig. 5. Alessandro Baratta, Fidelissime Urbis Neapolitanae cum omnibus viis accurata et nova delineatio, 1629, Napoli, particolare con l’area di Caponapoli. (https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b52504785x/f1.item.zoom#)

            «Ascendono così a tre, allineati uno dietro l’altro, i Monasteri della santa Casa, più vicino all’ospedale quello delle pentite, un po’ più giù quello delle riformate, e ancora più a Sud quello di santa Maria in Gerusalemme» (Boccadamo, 2019, p. 83). Contigua al blocco originario dell'ospedale è la storica Farmacia degli Speziali[13], di fondazione cinquecentesca ma rinnovata in forme barocche durante la prima metà del XVIII secolo.

            Nel 1539 l’ospedale, articolato su due piani il secondo dei quali riservato alle donne, occupava ancora la sola parte orientale dell’insula oltre la quale appariva estremamente complesso realizzare i necessari ampliamenti indispensabili all’organizzazione della struttura. Tale circostanza indusse la Real Casa a estendersi verso ovest, acquisendo il vasto giardino di proprietà dell’adiacente convento di santa Maria delle Grazie[14] da cui erano stati già acquistati altri beni. Solo dopo reiterate pressioni, culminate nel breve ingiuntivo del 1544, i padri che abitavano il convento acconsentirono ad alienare parte del giardino (7 gennaio 1544).

            Divenuto in questo mezzo l’ospedale al gran numero degli ammalati che si affidavano alla cristiana pietà, venne comperata dagli amministratori di quello (ospedale) una pezza di giardino del prossimo monastero di santa Maria delle Grazie dei frati eremiti di san Girolamo e si attese a costruire sopra a quel suolo, e sopra il suolo di talune case precedentemente acquistate, i due ospedali degli uomini e delle donne (...) e parecchie necessarie officine, la cui fabbrica si vede l’anno 1566 menata a fine (Volpicella, 1876, pp. 211-219). I ripetuti tentativi da parte dell’ospedale di acquisire l’intero giardino del convento non sortirono il risultato sperato tanto che, dopo il 1730, la Real Casa fu costretta ad espandersi realizzando il prolungamento delle corsie «direttamente sul bastione cittadino, appoggiando la nuova costruzione su archi sovrastanti l’antica via che costeggiando le mura giungeva a Porta san Agnello» (Boccadamo, 2019, p. 86).

            L’ospedale venne quindi, a costituirsi nel tempo come un articolato complesso plurifunzionale in continua espansione ma senza un disegno preordinato, assumendo la forma di un quadrilatero irregolare il cui lato settentrionale era costituito dalla murazione antica della città (Di Lernia, 1986 p. 260) [Fig.6]. In una Memoria del 1568, il complesso degli Incurabili viene descritto come un insieme di «quattro ospedali, due di donne e due di uomini, appartati uno dall’altro»[15] (Toppi, 1997, pp. 208-211); tale suddivisione, per piani e per corsie, connotava internamente i due blocchi ospedalieri separati dal cortile rettangolare occupato a nord dalla cappella di santa Maria Succurre Miseris, adiacente alla quale era collocato l’accesso principale al complesso, e a sud dalla chiesa di santa Maria del Popolo, a cui era allineato lateralmente il secondo portale d'ingresso con accesso diretto sulla strada che conduceva ai monasteri della Santa Casa. Il blocco occidentale dell’ospedale, ulteriormente ampliato nell’800, era dotato d’ingressi separati e collegato mediante un portico alla struttura conventuale di santa Maria delle Grazie, con i due chiostri interni trasformati rispettivamente in orto medico e nel chiostro denominato della Maternità (dal 1813).

 

Fig. 6. Napoli. Rilievo planimetrico del complesso di S. Maria del Popolo degli Incurabili. (https://gareappalti.invitalia.it/tendering/tenders/000006-2020/view/detail/1)

            A tali ampliamenti si aggiungono le ingenti trasformazioni attuate ai complessi di Regina Coeli, di san Gaudioso e di santa Patrizia, delineandosi con nitidezza la destinazione complessiva assegnata all’intera collina di Caponapoli (Rossi, 2010, 281-296; Capano, 2018, pp. 35-54), incentrata sui temi dell’accoglienza e della cura. La scelta del sito era caduta sulla collina di sant’Agnello a Caponapoli proprio per via della sua pozione isolata, considerata salubre e ventilata, indispensabile per gli usi a cui era destinata la struttura, e ancora perché, nucleo originario della Neapolis greco-romana, sovrastava dall’alto con i suoi giardini la città antica, dominandone la vista.

            Favorendo la progressiva sostituzione degli spazi sacri dell’antica acropoli con quelli di una moderna cittadella sanitaria, l’intervento si faceva portavoce di un’operazione di rinnovamento spirituale della società attuato attraverso gli strumenti della solidarietà e dell’inclusione. In breve tempo, anche l’area prospiciente la porta san Gennaro, (Buccaro, 1991, pp. 243-245) attorno alla quale si erano andati addensando numerosi insediamenti abitativi, in ‘sinergia’ con la collina di Caponapoli divenne sede di strutture destinate alla cura e all’accoglienza. Nel 1533 infatti, san Gaetano da Thiene, fondatore dell’ordine dei teatini, venne ospitato nell’antico ospedale per preti poveri e pellegrini annesso alla chiesa di santa Maria della Misericordia ai Vergini fuori Porta san Gennaro, dell’omonima confraternita, dove giunse allo scopo di aprire in città una casa dell’ordine. San Gaetano fu padre spirituale di Maria Longo presso il cui convento di santa Maria di Gerusalemme si trasferì tra il 1533 e il 1534 e fino al 1539 quando gli vennero concessi i locali della chiesa di san Paolo Maggiore

            Cosicché, nel 1533 anche a Napoli, come già a Roma, i cappuccini approdarono nel complesso degli Incurabili, seguiti dai teatini guidati da Gaetano da Thiene. Il percorso fede, arte e scienza trova in questa insula la sua progressiva messa a punto: è qui che si definiranno concretamente politiche di assistenza -non solo sanitaria- fondamentali all’affermarsi di una scienza medica e farmaceutica -l’arte degli speziali[16]- all’avanguardia (Rescigno, 2016, pp. 52-53), che si riverserà nella cura dei malati e nella sperimentazione di nuove terapie basate sulla ricerca scientifica, cui contribuiranno i laboratori e gli orti medici interni alla struttura. Proprio la realizzazione di una farmacia autonoma [Fig.7] per gli speziali e di un orto medico per la coltivazione di specie e piante officinali da cui trarre unguenti e soluzioni medicamentose, evidenzia il ruolo che la ricerca e la messa a punto di soluzioni e cure innovative ebbero sin dall’inizio nell’organizzazione funzionale di una struttura divenuta rapidamente di riferimento per tutto il meridione (Rizzo, 1991).

            Naturalmente, affinché strutture volte alla cura separata degli internati potessero operare validamente erano necessari spazi tipologicamente pensati e studiati per le diverse funzioni ospitate: dall’ isolamento all’assistenza, dalla cura alla degenza, dalla ricerca alla sperimentazione. Ciò fu alla base del passaggio dallo schema cruciforme, di derivazione medievale, al sistema ‘a padiglioni’ lineari, destinati separatamente alla cura degli uomini e delle donne, con ciascun blocco attraversato da corridoi interni di smistamento e suddivisione, maggiormente flessibili e adattabili.

Immagine che contiene edificio, esterni, cielo, chiesa

Descrizione generata automaticamente

Fig. 7. Napoli. Cortile del complesso di S. Maria del Popolo degli Incurabili. Atrio d’ingresso della Farmacia storica con il blocco attiguo degli edifici. https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Ospedale_degli_Incurabili_di_Napoli_500_anni_da_salvare.html

            A veicolare all’esterno l’importanza e il ruolo che l’ospedale degli Incurabili rivestì per lo sviluppo complessivo della città concorsero certamente le innovazioni funzionali di cui le nuove strutture per l’accoglienza e per la cura dovettero dotarsi per affrontare al meglio le cure e le terapie da adottare, ma anche il linguaggio architettonico impiegato da alcuni tra i più rinomati artisti del tempo -da Dioniso Lazzari a Domenico Antonio Vaccaro a Bartolomeo Vecchione- a vario titolo coinvolti nei processi di costruzione, ammodernamento e trasformazione delle fabbriche più rappresentative del complesso.

5. Conclusioni

Le ragioni dell’importanza e del ruolo svolti nei secoli dagli ospedali degli Incurabili, con le loro diverse strutture, confraternite e associazioni, vanno ben oltre la loro originaria funzione fondativa: il complesso napoletano, come già quello romano, divenendo nel tempo il nucleo principale di «quella rete caritativo-assistenziale che, traendo origine in vario modo e a vario titolo dalle Compagnie del Divino Amore, travalicava le singole città [per porsi] […] ovunque, per […] sua stessa natura e […] finalità, come centro propulsore di nuovi valori per i singoli e per la collettività» (Boccadamo, 2019, p. 72).

 

6. Referenze bibliografiche

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[1] Sul sito sorgerà nel 1839 il palazzo Camerale, opera di Pietro Camporese il Giovane, divenuto in seguito sede delle scuole dell’Accademia di san Luca e dell’Accademia di Belle Arti.

[2] Accanto a Giorgio da Coltre, nel 1515 collabora al progetto di ampliamento dell’ospedale anche Antonio da Sangallo ‘il Giovane’, diffusamente citato nei documenti dell’Archivio riferiti al San Giacomo: ASR, Ospedale San Giacomo degli Incurabili, b. 293.

[3] ASR, Ospedale San Giacomo, bb. 294, 297.

[4] Antonio Maria Salviati fu eletto nel 1579 guardiano di san Giacomo e in seguito alla sua nomina a cardinale (1583) fu nominato prorettore della congregazione dei Ministri degli Infermi fondata da Camillo de Lellis presso il medesimo l’ospedale. Il Salviati dettò le proprie volontà testamentarie al notaio della Camera Apostolica Hieronimus Fabrius il 9 aprile del 1593.

[5] Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, Progetti per l’ospedale di San Giacomo, Baldassarre Peruzzi UA 577; Antonio da Sangallo ‘Il Giovane’ UA 870-873, 1109r.

[6] Sulle associazioni laicali dedite in Età Moderna alla cura e al sostegno degli strati più poveri della società esiste una vasta bibliografia, ci limitiamo a segnalare i testi più direttamente coinvolti nello studio e nella stesura di questo scritto, rinviando alle rispettive bibliografie per ulteriori, opportuni approfondimenti.

[7] Il cosiddetto ‘morbo francese’ come venne denominato a causa della sua diffusione avvenuta in seguito al soggiorno in città delle truppe di Carlo VIII (1494).

[8] La compagnia è documentata dal Celano (l430, p. 88) quando venne fondata da san Giacomo della Marca nel “convento della Santissima Trinità, presso quello della Croce di Palazzo”. Scomparsa nel 1443 a causa delle guerre che affliggevano la città, venne nuovamente fondata a partire dal 1519 nel monastero di san Pietro ad Aram per volere di Giovan Pietro Carafa, eletto papa col nome di Paolo IV.

[9] Il 23 marzo 1522 venne celebrata la prima messa nella chiesa di santa Maria del Popolo in concomitanza con il trasferimento dei malati dalla prima sede di san Nicola al Molo alla nuova struttura. Con bolla Ex supernae dispositionis arbitrio, dell’11 dicembre 1523, Clemente VII approvava lo statuto dell’ospedale e ratificava l’unione tra la compagnia dei Bianchi e l’ospedale. Con questo documento, inoltre, l’ospedale di Napoli si vedeva riconosciuti e confermati gli stessi privilegi concessi all’ospedale romano di san Giacomo in Augusta. Secondo il Quaterno delli confrati et consore de lo venerabile ospitale de Sancta Maria del Popolo deli Incorabile facto et ordinato in lo anno VIII ind. 1519 a dì primo d’octobre, conservato in copia mutila presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (BNN, Manoscritti, IX A A 27/2), l’ospedale avrebbe avuto sin dall’inizio il titolo di santa Maria del Popolo degli Incurabili eguale a quello della confraternita che governava l’ospedale romano per incurabili di san Giacomo in Augusta.

[10] Come è possibile constatare per il vico Corniolo che dalla chiesa di santa Patrizia giungeva fino a san Gaudioso, che venne di fatto ‘fagocitato’ nello sviluppo dell’insula ospedaliera.

[11] Il 26 marzo del 1523 l’ospedale acquista da Antonio Guadagno e Laura Cortone un’abitazione nella piazza della Porta san Gennaro composta di “tre membri superiori e inferiori con supportico e giardino” (Boccadamo, 2019, p. 61), confinante con i propri beni, e dagli eredi Conca “quattro membri di case” (Ivi, p. 61) confinanti con l’abitazione dei Guadagno. Il primo acquisto sarebbe servito per realizzare “lo spagliaturo delli confrati delli giustiziati” (Boccadamo, 2019, p. 62), mentre il secondo avrebbe comportato la realizzazione della cappella di S. Maria Succurre Miseris dei Bianchi di Giustizia. La terza stanza venne collegata con un ‘carangolo’ all’abitazione privata di Maria Longo, posta al piano superiore. I lavori terminarono nel 1529. Con il trasferimento della confraternita nell’ospedale si sanciva il legame diretto tra i Bianchi e il complesso degli Incurabili che aveva costituito sin dall’inizio uno dei punti nodali del progetto di Vernazza e della Longo.

[12] In cui le monache si trasferiscono definitivamente nel 1585.

[13] La realizzazione della Farmacia risale al 1521, data di acquisto da parte della Longo di alcuni immobili contigui all’ospedale indispensabili per dotare il complesso di una Spezieria medica. Del progetto cinquecentesco rimane l’impianto rimasto immutato per tutto il secolo successivo. Al Settecento risalgono invece gli ‘ammodernamenti’ barocchi apportati alla struttura e attribuiti, per la fase dal 1729 al 1745, a Domenico Antonio Vaccaro, e per l’esecuzione finale, dal 1747 al 1755, a Bartolomeo Vecchione.

[14] La cui edificazione nelle forme cinquecentesche risalirebbe al 1519 su di un primitivo nucleo costituito da una piccola cappella risalente al 1447 (Galante, 1872, pp. 93-97). Il monastero fu incamerato nell’ospedale solo dopo il 1799.

[15] Memoria all’Ill. Signor Ferrante di Sangro delle pisi et spese del sacro spedale degli Incurabili, inviata al cardinale Antonio Carafa dai canonici napoletani.

[16] La farmacia dell’ospedale, più che essere destinata alla vendita dei farmaci, costituiva un laboratorio di ricerca internazionale dove medici e studiosi provenienti da tutta Europa si confrontavano collaborando per il ritrovamento di terapie d’avanguardia, costituendo di fatto la premessa indispensabile per la successiva costituzione delle Scuole e delle Facoltà di Medicina e Farmacia.